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Edf e Uniper: la nazionalizzazione non è un tabù

by Salvatore Recupero
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Roma, 10 lug –  Parigi vuole rinazionalizzare il colosso dell’energia transalpino Edf. Ad annunciarlo è il primo ministro Elisabeth Borne nel suo discorso di politica generale davanti al Parlamento. “Vi confermo oggi – ha detto Borne – l’intenzione dello stato di possedere il 100% del capitale di Edf. Questa evoluzione consentirà a Edf di rafforzare la sua capacità di portare avanti al più presto possibile progetti ambiziosi e indispensabili per il nostro futuro energetico”.

Nel frattempo a Berlino l’esecutivo guidato da Scholz sta valutando la possibilità di presentare nei prossimi giorni una legge che gli consentirebbe di assumere partecipazioni nelle società fortemente penalizzate dall’impennata del costo importato del gas (come Uniper), attraverso un’iniezione di capitale.

Le nazionalizzazioni tornano dunque di moda? E cosa dirà Bruxelles su queste due operazioni? Andiamo con ordine.

I problemi di Edf

La nazionalizzazione di Électricité de France era già nell’aria da diversi mesi. Tuttavia bisogna dire che la Francia è sempre stata “interventista” in economia. Nessuna meraviglia, dunque. Lo stesso gigante dell’energia era controllato già per l’84% da Parigi.

Ci sono settori strategici su cui lo Stato francese non molla la presa: basti pensare a Stellantis. La Francia crede fermamente nell’intervento pubblico nell’economia. Quest’ultimo si declina in molti modi. Infatti, oltre alla Caisse des Dépôts et Consignations (l’equivalente della nostra Cassa Depositi e Prestiti) c’è l’Ape (Agence des participations de l’État). Una società pubblica (molto simile alla nostra Iri) creata però nel 2004 quando noi avevamo già smantellato l’ente voluto da Beneduce.

Tornando ad Edf molti sono stati i motivi che hanno portato a questa decisione. Citiamone solo un paio. In primis il colosso dell’elettricità è stata danneggiata dalle regole del governo macroniano, che l’hanno costretta a vendere energia ai “rivali” a prezzi scontati, mentre gli stessi hanno raggiunto livelli record. Le perdite di produzione stimate ridurranno i profitti di 18,5 miliardi di euro e le vendite di energia scontate costeranno 10,2 miliardi di euro. Il debito è aumentato del 40% quest’anno, ad oltre 61 miliardi di euro.

In secundis il colosso dell’elettricità deve affrontare ritardi e sforamenti di budget per le nuove centrali nucleari in Francia, oltre a problemi di corrosione in alcuni dei suoi vecchi reattori. La metà dei reattori presenti sul territorio transalpino, inoltre, attualmente sono inattivi.

L’intervento pubblico o meglio la nazionalizzazione riuscirà ad evitare buchi nel bilancio e nel contempo non farà mancare la liquidità necessaria per “modernizzare” le centrali nucleari.

L’opzione di nazionalizzare completamente Edf è stata segnalata dal presidente francese, Emmanuel Macron, a inizio 2022, con l’intenzione di rendere l’azienda energetica il pilastro principale di un massiccio investimento in nuovi reattori nucleari.

Uniper e il modello Lufthansa

E adesso veniamo alla Germania. Il governo tedesco tende la mano al settore energetico. L’esecutivo guidato da Scholz (come già detto sopra) sta infatti valutando la possibilità di presentare nei prossimi giorni una legge che gli consentirebbe di assumere partecipazioni nelle società fortemente penalizzate dall’impennata del costo importato del gas, attraverso un’iniezione di capitale.

Nei progetti dell’esecutivo, (secondo quanto riferisce l’Agi) non è esclusa nemmeno l’ipotesi di porre le società energetiche sotto amministrazione fiduciaria nel caso in cui la sicurezza energetica del Paese venisse minacciata.

Il caso più emblematico della crisi è rappresentato da Uniper, società che è il maggiore importatore di gas russo in Germania. L’azienda è in grave difficoltà, addirittura a rischio di insolvenza, in quanto si trova a dover compensare la riduzione delle consegne di gas russo con costosi acquisti dell’ultimo minuto sul mercato globale.

In pratica da quando Mosca ha tagliato le forniture di Gazprom (anche se Putin nega) le aziende energetiche tedesche in generale sono costrette a procurarsi il gas sul mercato spot a prezzi molto più alti.

Se non operassimo in un settore “particolare” i maggiori costi sarebbero scaricati sui clienti. Questo, però, non può avvenire dato che gli utenti ricevono il gas con contratti a lungo termine che non possono essere rinegoziati. C’è da dire, anche, che il governo tedesco con l’inflazione che galoppa non permetterebbe mai ulteriori rincari sulle bollette. E allora come sterilizzare tali perdite?

Al momento ci sono varie ipotesi sul tavolo, la più accreditata è quella di compiere un salvataggio secondo il modello Lufthansa. Durante la pandemia, per venire incontro alla compagnia aerea in serie difficoltà, Berlino acquisì il 20% delle azioni garantendo un’iniezione di capitale di 9 miliardi di euro.

Lo Stato tedesco a quel punto assumerebbe partecipazioni in aziende in difficoltà “di infrastrutture critiche nel settore energetico”. Per quanto riguarda il comparto energetico, l’urgenza di intervenire è ancora più accentuata dal rischio di un razionamento del gas il prossimo inverno per i clienti industriali qualora la Germania non riuscisse a riempire in modo veloce gli impianti di stoccaggio del gas.

In sintesi quanto sta avvenendo in questi giorni ci dimostra quanto sia controproducente l’ossessione di Bruxelles per gli aiuti di stato. In realtà quando le leggi del mercato falliscono (e nei monopoli naturali succede spesso) solo un intervento pubblico ben fatto può evitare che a pagare sia la collettività.

Salvatore Recupero

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