Home » Èdouard Berth: quando il sindacalismo rivoluzionario incendiava l’Europa

Èdouard Berth: quando il sindacalismo rivoluzionario incendiava l’Europa

by Lorenzo Cafarchio
0 commento
Èdouard Berth

Roma, 17 dic – Allievo di Georges Sorel e cantore della rivoluzione del lavoro con il suo pensiero, Èdouard Berth ha travolto l’Italia a inizio secolo scorso. La sua figura torna in un saggio, edito dalle Edizioni Sindacali, redatto da Alain De Benoist.

Èdouard Berth e il sindacalismo rivoluzionario

Torna. Tutto torna eternamente in una spirale che è sinonimo d’infinito. Le pagine della letteratura di inizio ‘900 corrono spasmodiche e lasciano il pubblico con il fiato rotto. Sono dirompenti alla lettura degli anni ‘20 del ventunesimo secolo. “Ebbene, lo si conosce adesso, l’Intellettuale? Lo vedete, questo mostro senza viscere, questo anacoreta dell’Idea pura, questa Astrazione fatta Uomo?”. Quanti di questi martiri della grafia sono finiti sepolti nelle pagine del progresso? Édouard Berth è uno di questi. Eppure, come il riflusso delle onde, ogni cosa emerge dal mare del perenne. Basta osservare e scegliere la riva giusta. La sua invettiva contro i 𝘱𝘢𝘳𝘷𝘦𝘯𝘶 delle lettere, tratta da 𝘐 𝘤𝘳𝘪𝘮𝘪𝘯𝘪 𝘥𝘦𝘨𝘭𝘪 𝘪𝘯𝘵𝘦𝘭𝘭𝘦𝘵𝘵𝘶𝘢𝘭𝘪 pubblicato in una nuova edizione qualche anno fa dai tipi di Gog, ci porta nella pancia della balena proprio dove l’avvenire accendeva i suoi fari. Uno scontro quello di Berth senza il timore di essere piegato dalla faccia oscura del mondo. Le sue parole sono tornate, negli ultimi mesi, in libreria per merito della ricerca delle Edizioni Sindacali (casa editrice costola dell’Ugl) che hanno affiorare, in italiano, il saggio di Alain de Benoist 𝐄́𝐝𝐨𝐮𝐚𝐫𝐝 𝐁𝐞𝐫𝐭𝐡 𝐞 𝐢𝐥 𝐬𝐢𝐧𝐝𝐚𝐜𝐚𝐥𝐢𝐬𝐦𝐨 𝐫𝐢𝐯𝐨𝐥𝐮𝐳𝐢𝐨𝐧𝐚𝐫𝐢𝐨 (124 pp.; 20,00€) inserito nella collana Pensiero sindacale diretta da Ada Fichera.

De Benoist all’alba degli 80 anni torna laddove Georges Eugène Sorel, di cui Berth è stato allievo e discendente filosofico, ha sbalordito il mondo e soprattutto l’Italia intera: alla foce del mito. “Il nostro maestro”, come lo definì Pierre Andreu, del resto ricorda che “se le grandi idee hanno trionfato nel mondo, lo si deve al fatto che esse hanno agito nell’animo delle folle come miti”. Qui siamo davanti alla forza della visione del mondo. Quei pensieri capaci di plasmare le nazioni. Berth e Sorel non fanno “appello all’intelletto, ma ai sentimenti”. Come il cinema, prima del cinema, anticipando la diffusione su scala planetaria della cellulosa. “Il mito”, del resto, “è imparentato con l’immagine: non soltanto, è in qualche modo, un’immagine in movimento, ma contraddice la ragione puramente intellettuale alla maniera in cui l’immagine si oppone al concetto”. De Benoist, tradotto in italiano per l’occasione da Giuseppe Giaccio, scrive la sceneggiatura di quella che è stata la fucina del sindacalismo rivoluzionario capace, molto più che in Francia, di deflagrare i propri effetti tra i confini d’Italia. Del resto i miti – sciopero generale über alles – per Edouard Berth “governano l’azione che non è mai guidata dalla sola scienza; essi sono l’espressione di una sorta di poesia sociale. […] D’altronde l’uomo non farebbe mai niente, se fosse solo ragione”.

Da Sorel alla rivoluzione

La prefazione del testo è stata affidata a Giuseppe Del Ninno. Quest’ultimo tratteggia la parola di Sorel, che è quella di Berth in una lotta perenne alla dottrina borghese nonché all’ideologia del progresso, ovvero il campo da gioco della storia dove trionfano o perdono le visioni, le idee e le azioni. Per i due francesi – Berth nacque a Jeumont sulla frontiera belga nel 1875, mentre Sorel a Cherbourg in Normandia nel 1847 – la storia non è altro che “il regno dell’imprevisto” dove ogni possibilità resta aperta. Regno dove è l’uomo ad agire usando come scudo e come spada l’antideterminismo e l’antirelativismo. Perché, fondamentalmente, aderire alla realtà della vita vuol dire generare dentro il proprio io il mito esternandolo nella comunità. E il giogo del tempo nulla può sul nostro collo. Forza e violenza, agli albori dello sciopero generale, bussano alle porte dove lo Stato impone le sue leggi in un inizio di secolo, quello scorso, incapace di porre una linea di demarcazione tra democrazia, liberismo, capitalismo e borghesia. In 𝘙𝘦́𝘧𝘭𝘦𝘹𝘪𝘰𝘯𝘴 𝘴𝘶𝘳 𝘭𝘢 𝘷𝘪𝘰𝘭𝘦𝘯𝘤𝘦 è proprio Sorel a scrivere che la forza “ha per oggetto di imporre l’organizzazione di un certo ordine sociale nel quale una minoranza governa, mentre la violenza tende alla distruzione di quest’ordine”.

Rivoluzione e ancora rivoluzione. Perché, torniamo a Berth, in questo scenario la democrazia “non ama che i mediocri” eppure per creare la più alta forma di civiltà, scomodando Pierre-Joseph Proudhon, bisogna unire “dell’ordine e dell’anarchia”. Scacciando l’individualismo dove l’essere è il gruppo, mai folla o gregge. Sintesi e cultura che porteranno al trionfo di questi ardori in Italia con l’avvento del Fascismo, mentre nel 1920 Édouard Berth piegherà le sue idee nella tessera del Partito Comunista. Berth ha ancora il tempo di un soffio leggero quasi lucente. Non vede nel lavoro, nella macchina, l’alienazione dell’uomo. Non vede nella tecnica la castrazione del genio. Anzi. Come scrive Alain de Benoist anticipa di trent’anni “certe tesi esposte da Ernst Jünger ne 𝘓’𝘖𝘱𝘦𝘳𝘢𝘪𝘰”. Creando un Tipo nuovo capace di fondare una civiltà differente. “Questa civiltà è possibile? C’è nel lavoro di che fondare una morale, un’estetica, una metafisica nuove e profondamente originali? Ecco la questione essenziale”. Per questo bisogna tornare all’intellettuale che come il fabbro forgia le sue parole battendole una a una contro i disgregatori sociali che osano farsi chiamare intellighenzia.

Lorenzo Cafarchio

You may also like

Commenta

Redazione

Chi Siamo

Il Primato Nazionale plurisettimanale online indipendente;

Newsletter

Iscriviti alla newsletter



© Copyright 2023 Il Primato Nazionale – Tutti i diritti riservati