Roma, 25 lug – Chissà cosa penserebbe Alain Elkann vedendomi seduto vicino a lui su qualche treno. Probabilmente giudicherebbe che nemmeno li capisco i libri che sfoglio con aria svagata, guardandomi poi mezzo schifato per i tatuaggi che si intravedono da sotto la camicia, sbottonata per il caldo. Sarei anch’io una sorta di lanzichenecco, un barbaro in odio della civiltà? Una domanda forse oziosa, dato che il mio Regionale da pendolare non è affar suo. Ma di sicuro una domanda lecita, dopo quel suo elzeviro che nella giornata di ieri ha monopolizzato l’attenzione un po’ di tutti.
L’incontro in treno di Elkann con i giovani lanzichenecchi
Elkann ha il merito di averci fatto di nuovo innamorare della gioventù. Un miracolo, visti i tempi. Ha offerto di sé un’immagine quasi caricaturale, a cui crede fin troppo, eccessiva nei suoi manierismi e nelle sue consumate pose da intellettuale, con i giornali di mondo, il “vestito molto stazzonato di lino blu”, il diario da scrivere obbligatoriamente con la stilografica e Proust da leggere – ça va sans dire – in francese. Il contraltare dei ragazzi tatuati, vestiti con abiti sportivi, che parlano fra loro di sesso e ragazze da conquistare, assume così una luce ben diversa da quella con cui Elkann li vorrebbe descrivere. Non solo finiscono per starci simpatici, ma risultano anche più autentici. La goffaggine dell’autore è pure in quel suo riferirsi ai lanzichenecchi, che non desta scandalo ma diventa un titolo d’onore. Anzi, i lanzichenecchi sembrano un simbolo perfetto per la gioventù, con i loro canti sprezzanti e le avventure guerresche. Perfino il nome, con il suo richiamo a un legame originario con la terra (in tedesco: “Land”, da cui proviene appunto “Landsknecht”, letteralmente: “servitore della terra”), ci rimanda a una dimensione altra da quella decadente del nostro mondo globalizzato.
Dall’articolo all’indignazione social, quando tutto è grottesco
La spocchia di Elkann ha portato perfino la redazione di Repubblica, giornale dove è apparso l’articolo, a dissociarsi e prendere le distanze. Qui il grottesco si aggiunge al grottesco, con il comitato di redazione che giudica il pezzo classista e contrario alla “missione storica” del giornale che è quella di mostrarsi “vicino ai diritti dei più deboli”. Un dato che però ci dà modo di pensare, perché in fondo l’indignazione social contro Elkann è la stessa di chi s’indigna per tutto, magari anche per i ragazzi chiassosi e pieni di vita quando se li trova davanti, condividendo in tutto e per tutto i pregiudizi verso una generazione che non capisce. Senza la coltre di snobismo che impernia l’articolo, probabilmente avremmo assistito alle solite paternali contro la maleducazione dei giovani d’oggi, ignorando la loro. L’episodio di Elkann me ne ha fatto poi ricordare un altro, per così dire, di segno opposto. Il protagonista è Marinetti, uno di cui si dice passasse metà della sua vita in treno. A raccontarlo sono Settimelli e Corra. In un viaggio tra Pisa e Firenze, una “mummia piramidale” chiede a Marinetti, non riconoscendolo, un’opinione sul futurismo: “Che ne dicono? Che ne dicono loro che mi hanno l’aria di persone colte e dabbene? Quel Marinetti andrebbe sì o no messo al manicomio?”. Domanda alla quale Marinetti risponde con due sonori e igienici ceffoni: “Ho consegnato la mia carta da visita a questo signore che sarà per lo meno cavaliere ufficiale!”. E almeno rido un po’.
Michele Iozzino
2 comments
Elkann…cosa vi aspettate con quel cognome?
Dal articolo di oggi nel Libero Quotidiano: “…Dagospia evoca, – chissà perché – la frase attribuita a Gianni Agnelli in me rito al matrimonio della figlia Margherita: «Com’è possibile che con tutti gli ebrei brillanti in giro, abbia scelto questo idiota?…”
Idiota? Il tipico usuraio o pensate forse che avrebbe sposato una non ebrea senza essere l’erede della fortuna degli Agnelli?
Fortunatamente non siamo tutti uguali dunque la necessaria capacità di relazionarsi, bilaterale, dove è andata a finire ? Nel cesso ? Si chiedano il perché.