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Esportiamo cervelli, importiamo analfabeti: anche così muore una nazione

by Francesco Meneguzzo
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emigrazione_terziariaRoma, 28 feb – Secondo il rapporto della Commissione europea del 26 febbraio, riferito all’Italia e avente per oggetto la prevenzione e correzione degli squilibri macroeconomici, nella parte dedicata alla cosiddetta fuga dei cervelli, “sono sempre di più i giovani italiani altamente qualificati che emigrano all’estero. L’emigrazione di persone altamente qualificate è aumentata durante la crisi. Il numero di cittadini italiani con titolo di studio terziario che ha lasciato il paese è cresciuto rapidamente a partire dal 2010 e non è stato compensato da flussi di italiani di pari qualifiche che hanno fatto rientro in patria”, tanto che dal 2010 al 2014 la percentuale di soggetti con titolo di studio terziario (universitario), di età superiore a 25 anni, sul totale degli emigrati è cresciuto dal 24% al 30%, corrispondenti a un flusso emigratorio aumentato da 8mila a 20mila persone e a fronte di un “rientro” salito da 5mila a poco più di 6mila persone, con un saldo negativo esploso del 350%.

Ad aggravare, lo stesso rapporto ammette che le statistiche ufficiali dell’emigrazione altamente qualificata dal nostro paese è senz’altro sottostimata in quanto “non tutti i cittadini che lasciano l’Italia si registrano presso le autorità consolari italiane nel paese di destinazione”.

Tra le ragioni di questa drammatica evoluzione, la Commissione ne indica soltanto di economiche: retribuzioni molto più elevate, superiore accesso a posti a tempo indeterminato, posizioni più corrispondenti all’effettiva qualifica, e ovviamente un’offerta d’impiego più alta, tutto questo addotto a spiegazione anche della bassissima propensione al ritorno.

Si tratta quindi di una vera e propria fuga, e non della fisiologica e spesso positiva circolazione dei cervelli (formazione o esperienza temporanea all’estero) e tanto meno di scambio dei cervelli, in cui l’emigrazione qualificata è bilanciata da un’immigrazione altrettanto qualificata, tanto è vero che –secondo lo stesso rapporto – “la proporzione di cittadini stranieri residenti in Italia tra i 25 e 64 anni in possesso di un titolo di studio terziario è molto più bassa di quella dei cittadini italiani (11,5% contro 17,5% nel 2014).” Confermando indirettamente quanto più volte sostenuto su queste colonne: al danno della partenza definitiva di tanti soggetti in grado di contribuire molto positivamente allo sviluppo della Nazione corrisponde paradossalmente un danno esiziale dall’accoglienza di masse crescenti di natura parassitaria.

In quanto ai danni economici, che nei termini del rapporto Ue sono riferiti come rischi per la crescita potenziale, questi sono attribuiti alla “perdita netta permanente di capitale umano altamente qualificato, a danno della competitività dell’Italia”, che “può compromettere non solo le prospettive di crescita economica dell’Italia, ma anche le sue finanze pubbliche. La fuga di cervelli comporta un duplice costo finanziario: in primo luogo, in termini di spesa pubblica sostenuta per l’istruzione di studenti che poi lasciano definitivamente il paese e, in secondo luogo, in termini di futura perdita di gettito da imposte e contributi sociali che i migranti altamente qualificati avrebbero pagato lavorando in Italia”.

Ocse-laureati

Italia ultima nell’Ocse per percentuale di laureati

Un quadro drammatico, aggravato se possibile dalla ultima posizione del nostro paese nell’Ocse per percentuale di laureati sulla popolazione totale e nella bassissima spesa per laureato rispetto ai principali partner e competitori. Ciò nonostante, e a dispetto dei ridicoli investimenti in ricerca e sviluppo – nel 2013, l’1,26% del Pil contro la media Ue del 2% – e all’esiguo numero di ricercatori – 5 su mille persone in Italia contro gli 8,5 in Francia e Germania – la ricerca italiana è settima nel mondo per impatto, specchio di una vitalità quasi eroica degli addetti del settore.

Alla luce di tutto questo, provocatoria ma non del tutto fuori luogo appare una proposta rilanciata dal sito accademico specializzato Roars, sintetizzabile in questi termini: “Onde evitare che i dottori di ricerca formati a spese della nostra nazione vadano a contribuire alla ricchezza di altre nazioni, semplicemente smettiamo di formarne”.

Più in dettaglio, la paradossale proposta muove dalla considerazione che “gli spropositati costi che il nostro paese deve sostenere la loro formazione (prevalentemente con fondi pubblici) finiscono per rappresentare un regalo immeritato ai paesi stranieri in cui questi ricercatori migreranno. Un regalo che, purtroppo, non è ricambiato quasi mai con dei flussi migratori in entrata”, e i costi sono davvero elevati, dato che solo per pagare la sua borsa di studio, la formazione di un dottorando ci costa circa 40mila euro in tre anni, “per non parlare dei costi operativi per la ricerca o del costo-opportunità rappresentato dal tempo in cui i nostri ricercatori sprecano a formare capitale umano che andrà arricchire spesso e volentieri la ricerca degli altri paesi, invece di passare il loro tempo a pubblicare per scalare le classifiche mondiali”. Da qui, la drastica proposta di “abolire tutti i dottorati di ricerca in Italia” (come primo passo verso misure ancora più drastiche), al fine di “smettere di regalare esternalità positive alle nazioni concorrenti”.

Se tuttavia, si sostiene ancora, “si potesse contare sul fatto che i ricercatori e le ricercatrici fossero dei ‘Veri Italiani’, si potrebbe appellarsi al loro senso di patriottismo: ‘amate la Patria, non accettate di abbandonare il suolo italico per arricchire le altrui nazioni’, ma l’esperienza insegna che troppo spesso i ricercatori e le ricercatrici sviluppano una cultura individualistica, poco attenta al senso della comunità. Una cultura che li porta ad arrendersi di fronte alla disoccupazione che purtroppo affligge l’Italia invece di insistere e lottare, preferendo piuttosto diventare mercenari al soldo di altre nazioni”.

“I nemici della Patria potrebbero obiettare che questa manovra sia ingiusta – continua il testo della proposta – perché porterebbe all’Italia un eccessivo vantaggio competitivo rispetto alle altre nazioni nella guerra dei talenti. A questi obiettori di coscienza buonisti si risponde: l’Italia ha già regalato troppo, ora è giusto che riscuota la sua parte”.

È evidente che abbandonare i compiti di alta formazione significherebbe rinunciare definitivamente alla prospettiva di un rilancio del paese nel caso di un radicale cambiamento del quadro politico e del sentimento comune, il che tuttavia non riduce l’incisività e il valore provocatorio dell’intervento, né soprattutto invalida la classificazione dei profughi qualificati come mercenari. Anzi, assai più vili perché non rischiano nemmeno la pelle.

Francesco Meneguzzo

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8 comments

Gab 28 Febbraio 2016 - 5:11

Quindi un povero cristo che studia per trent’anni, spende ed investe migliaia, decine di migliaia di euro di tasca per la propria formazione, prende un paio di lauree, un dottorato, poi per anni si fa umiliare dalla propria nazione che lo costringe a scannarsi con altri poveracci per contrattini, bandi, incarichi, elemosine da 1-2-300 euro una tantum, arrotonda qualche decina d’euro con le ripetizioni ai ragazzini delle medie, viene passato avanti dai “figli di” che ottengono i pochi posti buoni, si vede togliere anche il 20% di trattenuta dai rimborsi-trasferta per lavori gratis pagati di tasca propria per conto dell’università…. ‘sto povero cristo, che fa lo schiavo per 12 ore al giorno quasi a gratis dentro un ateneo di merda, trattato di merda dalla propria nazione di merda, si trova a 35-40 anni a scegliere se buttare via tutta la formazione ed andare a fare un “lavoro normale” che non c’entra niente o andare all’estero. Se va all’estero per mangiare, diventa pure un mercenario e un vile.
Questo si chiama fare i froci col culo degli altri.

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Francesco Meneguzzo 28 Febbraio 2016 - 5:51

Questo piagnisteo mi fa vomitare, e se trovi la nostra Nazione “di merda”, allora prima ti levi dalle palle meglio è, se non l’hai già fatto.
Premesso questo e a beneficio dei non isterici, il percorso formativo in Italia sia ancora largamente a basso costo e con un rapporto qualità/costo molto elevato.
E’ certamente vero che l’accoglienza nel lavoro è terribilmente scarsa e inadeguata sotto moti punti di vista, ma la fuga di una persona preparata significa privare tutti gli altri e la Nazione stessa di un contributo importante, che prima di tutto può essere critico e anche “rivoluzionario”. Ribellarsi, non fuggire.
Tuttavia, se il legame di terra e di sangue non si sente proprio, né la volontà e il coraggio di lottare per cambiare e riprendersi tutto a beneficio proprio e degli altri, questo non si impara da nessuna parte.

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Gab 28 Febbraio 2016 - 6:54

Si, è di merda, come sono di merda i segaioli pseudo-rivoluzionari come te, pronti da pulpiti fantasma a pontificare, sparare sentenze e giudizi sul proprio popolo senza conoscerne i problemi reali e fregandosene altamente in nome di ideologismi.
“Vai avanti e prendilo in culo”, questo è il tuo apporto.
Vomita quanto vuoi, sei sterile come i tuoi numeri.

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Francesco Meneguzzo 28 Febbraio 2016 - 7:25

A proposito di fantasmi, da che pulpito anonimo la tua isteria! Sei solo vigliacco e codardo. Dai l’esempio e rinuncia alla cittadinanza, vigliacco, che nessuno sentirà la tua mancanza. Soprattutto, nessuno che stia qui a lottare anche per i vigliacchi come te, conoscendo perfettamente la situazione di cui all’articolo (e non solo quella), come anche una testa vuota come te potrebbe verificare facilmente se non fosse velato da tanta futile e vigliacca supponenza.

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Gab 28 Febbraio 2016 - 7:37

Lottare? Ma cosa vuoi lottare, te offendi migliaia di persone e basta.
A’ Menegù, ma vattelapijanderculo và

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Marco 29 Febbraio 2016 - 1:32

Caro Gab, ho letto attentamente il tuo messaggio. Sono anch’io uno studente universitario e, se è vero che hai speso decine di migliaia di euro per un paio di lauree vuol dire che appartieni al ceto alto, ovvero quel ceto di “figli di papà” da te tanto criticati. Altrimenti avresti avuto accesso alle borse di studio, che sono il vero punto chiave per capire il senso di questo articolo. Ora, o ci hai detto una stronzata tanto per sfogarti oppure il ceto al quale appartieni ti impedisce di auto- etichettarti come “poveraccio”. Le tue ragioni restano comunque condivisibili ma non mi sorprende che tu non sia riuscito ad apprezzare il testo. Nel secondo caso hai voluto omettere di proposito di aver percepito borse di studio per rendere la tua lamentela più efficace. Esiste poi un ceto medio che paga si le tasse, ma non certo migliaia di euro, senza percepire borse di studio. Forse che tu sia laureato presso una facoltà privata? Allora non rientri in questo discorso. Io invece non percepisco borse di studio ma quoto in pieno questo articolo. Mi sbaglio?

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Gab 29 Febbraio 2016 - 11:16

Per quello che ne sai, potrei essere un operaio che non si è nemmeno mai iscritto all’università, semplicemente solidale con gli sfruttati.
Inoltre, se hai letto così attentamente, avrai notato che ho scritto “migliaia, decine di migliaia” e non “migliaia” come dici te.
Così che, in quella riga e mezzo in cui condensi la maggioranza assoluta degli studenti/laureandi/laureati/dottorandi/dottorati/etc, nella categoria “ceto medio”, c’è tutto il mondo di famiglie che investono le “migliaia” per le tasse universitarie ed i testi, le “decine di migliaia” per tutto il contorno fatto di affitto, bollette, spese di mantenimento per chi è invece fuorisede.
Poi ci sono tanti se e tanti ma, e concordo con praticamente tutto quello che hai scritto analizzando le varie categorie di studenti/ex studenti, purtroppo però il dato rimane e parlando dei problemi di chi studia, ma di chi lo studio l’ha finito e presta i propri servizi nelle università, non si può rispondere ideologicamente come nell’articolo. Altrimenti tanto meglio allora uscire dalla scuola dell’obbligo ed andare a cercare direttamente un lavoro di qualsiasi genere. Perché poi si torna sempre lì: l’affitto, le bollette, la spesa e le rate non le paga nessun altro che la paga che ti porti a casa. E allora perché darsi alla ricerca, per rimanere in casa con mammà fino a tarda età e poi beccarsi del choosy o del mammone da qualche testa di cazzo di ministro o del mercenario da un articolista a tempo perso? O sentirsi dire da un sottosegretario di quei governi che tengono sbarrati i concorsi e lesinano i fondi al settore che chi fa ricerca non fa un vero lavoro? Il gusto di un lavoro ben fatto e la contribuzione a qualcosa di più grande colpisce anche me, ma bisogna guardare le cose da più punti di vista, per questo sono nel cuore di tutti quelli che stanno lì dentro perché le idee sono belle, ma non se magnano.

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tartarini (Italy) 4 Marzo 2016 - 3:11

Il problema di base è che non abbiamo un economia disposta ad assorbire cervelli, mentre attiriamo manodopera non specializzata, ma non diamo la colpa ne agli italiani che vanno via ne agli extracomunitari che arrivano.
Il problema di fondo è una politica statalista che ha sempre cercato di dare posti di lavoro tassando le aziende.
Viceversa lasciare più soldi nelle mani delle aziende (ma anche lasciandole fallire in caso di crisi) permetterebbe la creazione di posti di lavoro specializzati.
Non diamo la colpa ai migranti per favore.

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