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Il fallimento della Bce apre le porte ad una prospettiva sovranista?

by La Redazione
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bce-sovranitaBruxelles, 18 set – È passata abbastanza in sordina la notizia decisamente interessante secondo la quale negli ultimi due mesi il programma di acquisto di obbligazioni da parte della Banca centrale europea (quantitative easing) si è sostanzialmente impantanato. A fronte di 80 miliardi di euro di acquisti mensili previsti, infatti, si è fatta molta fatica a raggiungere “appena” la soglia di 60 miliardi tondi. Detto in altre parole, si stanno esaurendo i titoli di Stato acquistabili dalla Bce. Non è andata meglio con la “geniale” idea di includere negli acquisti le obbligazioni corporate, ovvero quelle emesse dalle grandi imprese europee. Lasciamo da parte il fatto che evidentemente finanziare ad interessi zero delle imprese è evidentemente un “sussidio”, e quindi una “distorsione del mercato” a vantaggio di pochi grandi società che quindi hanno le risorse per fagocitare i concorrenti minori. Lasciamo perdere perché una delle ragioni per cui abbiamo accettato l’indipendenza assoluta della banca centrale dal governo è che dovevamo “moralizzarci” e smetterla con “l’assistenzialismo di Stato”, quindi senza dubbio questa mossa della Bce racchiude profonde motivazioni squisitamente etiche.

Il problema è che in ogni caso non funziona. A fronte di oltre 1000 miliardi di obbligazioni pubbliche nel suo bilancio, la Bce possiede appena 20 miliardi di obbligazioni private, ed il motivo è banale per chiunque abbia sentito parlare di Keynes e non abbia messo il cervello all’ammasso del “darwinismo sociale” o dell’“efficienza dei mercati”. Bisogna che i signori liberisti, che ci fanno la morale per le nostre spesucce, e per il costo che esse hanno per le generazioni future, si mettano in testa un principio molto semplice, che però potrà servirgli anche per il futuro: le imprese non producono per divertirsi, ma per vendere. Se dunque la domanda è stagnante, non hanno nessun interesse ad indebitarsi per investire, ad assumere o a fare altro che speculare sui mercati finanziari, se ne hanno la possibilità. Per coloro de “lo Stato minimo” è dura da digerire l’idea per cui il barista bravo non è quello che fa 1000 caffè all’ora ma quello che li vende, ma ce ne faremo una ragione, anche perché un effetto importante in realtà il quantitative easing lo ha raggiunto: mandare a zero i tassi d’interesse. Nella vulgata comune questa dovrebbe ovviamente essere una manna dal cielo, salvo il fatto che sta distruggendo la redditività delle banche e quindi il risparmio e la previdenza degli europei. Nel frattempo, le banche d’affari di Wall Street e della City di Londra, uniche beneficiarie reali dei soldi elargiti gratis et amore dei dalla Bce, continuano a usarli per pompare il mercato dei derivati. L’ultimo grido della finanza speculativa sono i “certificati di deposito collegati al mercato”, o “Cd strutturati”, che collegano i conti dei risparmiatori con derivati basati sulla prestazione di un paniere di azioni o altri titoli, in modi che gli acquirenti di tali Cd non ne sono consapevoli o non ne capiscono. I Cd strutturati sono basati sugli indici di Goldman Sachs, e sono venduti ai clienti delle banche locali da consulenti che ricevono commissioni. In parole semplici: è come avere un libretto di risparmio, ma la cui redditività è legata ad operazioni speculative così complesse che per il semplice correntista è praticamente impossibile riuscire a prevederla.

Questo in Occidente, mentre al di fuori della diretta influenza imperiale americana le cose sembrano muoversi in un’altra direzione. Zhu Xian, vicepresidente della Nuova Banca per lo Sviluppo che unisce Russia, Cina, India, Brasile e Sud Africa ha recentemente dichiarato che avvierà una serie di programmi comuni d’investimento con l’Aiib, la banca pan-asiatica per lo sviluppo delle infrastrutture. Sia l’Aiib che la Ndb hanno sede in Cina, e sono state create per finanziare grandi progetti infrastrutturali la cui carenza ha paralizzato lo sviluppo in Eurasia, e nel resto del mondo. Il mostro capital-comunista cinese sembra avere le idee molto più chiare dell’“impero dei buoni” americano sul futuro dell’umanità. Un futuro per il quale si candida all’egemonia, con ottime probabilità di riuscirci.

Questa è la situazione reale, al netto delle fantasie ireniste e della propaganda di regime. Se l’Italia vuole trovare il suo posto in questo mondo multipolare che lentamente, dolorosamente e contraddittoriamente sta emergendo, non ha che la strada della sovranità. O meglio, delle sovranità, che lo scrittore russo Nikolay Starikov sostiene essere cinque (in ordine di importanza): sovranità territoriale, ovvero un ambiente circoscritto in cui vale un certo diritto; sovranità diplomatica, ovvero la possibilità di relazionarsi autonomamente con l’estero; sovranità militare, ovvero il controllo non delegato delle “armi proprie”; sovranità economica e monetaria, ovvero la possibilità di applicare politiche economiche autonome senza chiedere a nessuno il permesso; sovranità culturale, ovvero un linguaggio ed un universo simbolico condivisi dalla popolazione. Il cammino che porta uno stato pienamente sovrano nell’abisso della perdita progressiva delle varie sovranità inizia sempre con la perdita della sovranità culturale. La battaglia delle parole, che oramai appare persa, è quindi persino più importante di quella politica. Rifiutare in toto la retorica mondialista dei “diritti umani”, del “libero mercato” e della “democrazia liberale” è un passaggio doloroso ma necessario. Altrimenti, sarà tutto inutile ed avremo perso prima di cominciare.

Matteo Rovatti

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2 comments

Anonimo 18 Settembre 2016 - 7:27

Matteo sono d’accordo con il tuo articolo scritto, lo sono meno con l’ultima frase,rifiutare la retorica mondialista,dei diritti umani ecc…..è un passaggio doloroso,questo proprio non lo capisco doloroso perchè? per chi? io dico che è un passaggio obbligato e sarà doloroso se non lo affronti!

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Paolo 19 Settembre 2016 - 4:50

Probabilmente, con quel “doloroso” Matteo intende riferirsi a quelle persone, magari di buona volontà ma sostanzialmente accecate, sottomesse a tale retorica, con una esortazione alla rinuncia (per loro, certo dolorosa) al sogno multiculturale e mondialista in nome di un maggiore realismo e pragmatismo.

Per il resto anche io la penso allo stesso modo, e questa becera retorica multiculturale e dei diritti a tutti (di tutti fuorchè dei veri “deboli” che al contrario, non sono quasi mai tutelati) me li ha veramente “rotti”, e se anche solo si allentasse un poco (non oso sperare che finisca, sarebbe troppo bello) lo vivrei come un sogno.

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