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Favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: tutti i condannati (seconda parte)

by Francesca Totolo
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immigrazione

Roma, 29 ago – Dopo la prima parte, continua la nostra analisi riguardante le condanne per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina degli ultimi anni. L’immigrazione clandestina non è solo un business per coop, associazioni e tutte le categorie professionali connesse. La filiera economica ha origine nei Paesi di origine degli immigrati con strutture equiparabili a vere e proprie agenzie di viaggio. Una volta giunti nei Paesi nordafricani, gli immigrati pagano profumatamente i trafficanti di esseri umani (organizzati come tour operator anche sui social network), i quali organizzano il viaggio in mare fino alle coste italiane. Spesso, soprattutto quando davanti alle coste libiche non sono presenti navi delle Ong, gli scafisti si mettono alla guida dei barconi e sbarcano con gli immigrati in Italia. Alcune volte, invece, la tratta è organizzata da organizzazioni presenti in Italia.

L’operazione “Papiro”

Nel febbraio del 2022, è stato condannato in via definitiva l’egiziano Azat Moustafà El Badry, colpevole del reato di partecipazione all’associazione finalizzata all’introduzione di cittadini extracomunitari nel territorio dello Stato. El Badry gestiva l’esercizio commerciale phone center denominato ”Mar Rosso Di El Badry Azat Moustafa”, dal quale sono state ritirate, in più occasioni, somme di denaro destinato al finanziamento degli sbarchi clandestini. Da qui, era partita l’indagine “Papiro”, avviata nel 2010 e coordinata Direzione distrettuale antimafia di Palermo, che ha visto il rinvio a giudizio di trentatré persone, sei cittadini italiani e ventisette nordafricani. Erano tutti accusati “di essersi associati tra loro in una organizzazione transnazionale con altri soggetti giudicati separatamente ed altri ancora in corso di identificazione, al fine di commettere più reati contro la persona ed in particolare delitti di tratta di persone, di sequestro di persona a scopo di estorsione e di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina”. Nel novembre del 2017, è stato condannato in via definitiva per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina anche l’egiziano Mohamed Abdel Rahman Ismail El Sobhy (diciassette anni e sei mesi di reclusione), il quale coordinava la “cosiddetta cellula milanese, deputata alla gestione degli sbarchi e allo smistamento dei migranti”. L’egiziano Abovelnaser Shokry è stato invece condannato in secondo grado a sette anni e sei mesi di reclusione. La Cassazione lo ha poi rinviato per un nuovo giudizio, limitante al calcolo della pena, alla Corte di appello di Reggio Calabria.

Il sodalizio di Bari

In seguito alle indagini delle Forze dell’ordine, nel 2021, fu scoperto un sodalizio dedito al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina con “luogo di ritrovo” in un negozio di kebab a Bari. I componenti della banda sono iracheni e italiani, tra questi Taib Rekawt Taifoor, ritenuto il leader dell’organizzazione, Yousif Abdullah Ghafour e Vito Di Fano. Secondo gli inquirenti, la banda aveva costruito una fitta rete di collaboratori a Ventimiglia, Torino e Milano, dove venivano indirizzati i clandestini. Dall’ottobre del 2019 al novembre del 2020, l’organizzazione avrebbe accolto “facoltosi stranieri”, ospitandoli in “safe house”, dopo lo sbarco, li avrebbe smistati e poi avrebbe rilasciato falsi permessi di soggiorno e/o documenti di identità. “In definitiva, la cellula barese costituiva una vera e propria associazione per delinquere: gli indagati, coordinati da Taib Rekawt Taifoor, operavano in costante sinergia, prestando ciascuno un contributo utile e assolvendo a compiti predeterminati”, si legge nella sentenza di Cassazione in cui dichiarava inammissibile il ricorso di Vito Di Fano circa la misura della custodia cautelare in carcere. Nel febbraio del 2022, il ricorso di Yousif Abdullah Ghafour sulla custodia cautelare in carcere è stato rigettato dalla Cassazione.

L’operazione Caronte

Nel 2009, un’indagine condotta dalla compagnia di Gallipoli della Guardia di finanza consentì di sgominare un articolato sodalizio che gestiva i fili di una colossale truffa ai danni dell’Inps di Casanaro, in provincia di Lecce. Le Forze dell’ordine avevano arrestato quarantotto persone arrestate, 133 gli indagati. Le accuse, a vario titolo, erano di associazione a delinquere, truffa aggravata, falso, istigazione alla corruzione, rivelazione del segreto d’ufficio e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Secondo l’accusa, lo studio di consulenza del lavoro “Acquaviva” aveva architettato un piano truffaldino che negli anni aveva fruttato qualcosa come 1 milione e 750mila euro di profitto, somma sottratta all’Inps di Lecce, attraverso la sede distaccata di Casarano. Furono arrestati anche nove extracomunitari, il cui ruolo sarebbe stato quello di garantire il permesso di soggiorno in Italia a clandestini, attraverso assunzioni fantasma. L’organizzazione emetteva certificazioni fasulle, per lavoratori in realtà mai assunti con un “regolare” contratto. Nell’aprile del 2021, sono diventate definite le condanne nei confronti di Carmine Minocci e Biagio Maria Costantini (entrambi funzionari dell’Inps), Antonio Riccardo (funzionario sindacale), gli imprenditori Oronzo Ippazio De Marco, Pasquale Schirinzi, Enrico Garofalo, Luigi Sergi e Ippazio Serravezza, gli “intermediari” Mohamed Kholba, Habib Belgacem e Abdessalem Abdelfattah Ben. Per le lungaggini dell’iter giudiziario, alcuni reati erano già caduti in prescrizione e alcune pene erano state sospese. Nella sentenza della Cassazione, si legge: “Il presente procedimento ha ad oggetto una complessa associazione per delinquere, diretta da Acquaviva Giuseppe (che è stato separatamente giudicato con rito alternativo), il quale avvalendosi del suo studio di consulenza del lavoro, aveva organizzato una serie di frodi in danno dell’Inps, realizzando benefici sia per i lavoratori fittizi, sia per le imprese compiacenti”.

La fabbrica dei documenti falsi

Nel marzo del 2021, la Corte di appello di Milano aveva condannato alla pena di anni quattro e otto mesi di reclusione l’egiziano Abdelaziz Wael, in quanto ritenuto responsabile dei reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e di falso in certificazioni. In particolare, era emerso che Wael, titolare di un’agenzia di disbrigo pratiche per stranieri a Milano aveva predisposto documentazione falsa attestante la residenza di cittadini extracomunitari presso soggetti compiacenti al fine di ottenere il rilascio di permesso di soggiorno per loro congiunti per motivi di ricongiungimento familiare. Nel marzo del 2022, la Cassazione aveva rigettato il ricorso dell’egiziano, rinviando alla Corte di appello la sentenza per la rideterminazione della pena perché erano cadute alcune aggravanti.

L’operazione “International pizza travel”

Nel 2013, la Guardia di Finanza, in collaborazione Polizia municipale di Bologna e squadre mobili di Foggia, Salerno e Modena, ricostruì una vera e propria organizzazione che dal Pakistan, reperiva forza lavoro da spedire in Italia con un visto turistico e da regolarizzare sulla base di finti contratti di lavoro. Al vertice due fratelli pakistani, Khan Shahid Mehidi e Muhammad Razzaq Choudhry, residenti a Bologna e titolari di due imprese a cui fanno capo una dozzina di pizzerie a domicilio in città. I lavoratori pakistani arrivavano a lavorare anche dodici ore al giorno con contratti part-time e con uno stipendio giornaliero di 15 euro, in parte da restituire all’organizzazione per i debiti contratti per il viaggio (fino a 13mila euro) e per l’affitto di un posto letto in tre case-dormitorio. Nell’aprile del 2021, le condanne emesse, a vario titolo per associazione a delinquere finalizzata all’immigrazione clandestina e allo sfruttamento del lavoro, nei confronti di Khan Shahid Mehidi, Muhammad Razzaq Choudhry, Abdul Razzaq, Khan Ahmed, Ahmed Khali, Aldo Califano e Victor Gheorghe Floricel sono diventate definitive.

Lo sfruttamento degli immigrati nelle aziende tessili bengalesi

Nel maggio del 2021, sono stati condannati con sentenza irrevocabile i bengalesi Sheikh Mohammed Alim (cinque anni e un mese di reclusione), Sheikh Popy Khatun (tre anni e sette mesi di reclusione) e Sheikh Akbar (tre anni e sette mesi di reclusione) per i reati di associazione per delinquere finalizzata al favoreggiamento della immigrazione clandestina e allo sfruttamento dell’attività lavorativa altrui. Nel medesimo procedimento, la Cassazione aveva rinviato alla Corte di appello di Napoli per ridefinire il trattamento sanzionatore nei confronti di Aziz Abdullah Mahammad e Sk Moniruzzaman Tipu, essendo caduto un capo accusatorio, l’associazione a delinquere. Le attività di indagini avevano preso avvio dalle denunce, presentate a partire dall’aprile 2014, di diversi immigrati, che avevano documentato le vicende che avevano portato al loro arrivo in Italia e quindi al loro impiego presso diverse aziende tessili (Zishan confection srl, Sheikh Akbar fashion Zar e Fashion di Sheikh Popy Khatum).

I fornitori di false assunzioni

Nel settembre del 2021, Abdelfettah El Ibrahynny è stato condannato con sentenza irrevocabile alla pena di tre anni e quattro mesi di reclusione per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: “L’imputato è stato ritenuto responsabile, in concorso con il padre e con Slavisa Acimovic, titolare della ditta individuale “Toni Costruzioni e Restauri”, di aver procurato, dal marzo 2006 al maggio 2007, ricevendo in pagamento cospicue somme di denaro, l’ingresso in Italia di diversi cittadini di nazionalità marocchina, presentando una fittizia richiesta di autorizzazione all’assunzione a tempo indeterminato per ogni singolo individuato cittadino extracomunitario, e ottenendo il prescritto nulla-osta che, recapitato all’estero all’interessato, consentiva a quest’ultimo di ottenere il visto di ingresso dalla locale autorità consolare e successivamente, una volta giunto in Italia e formalizzata la fittizia assunzione, il permesso di soggiorno per motivi di lavoro”.

Scafisti arrestati in Italia

Nel marzo del 2022, lo scafista Ali Mohammed Youssef El Fak è stato condannato in via definita per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina in concorso con numerose persone non identificate operanti nel territorio libico, al fine di trarne profitto. Nel settembre del 2019, El Fak aveva condotto un’imbarcazione, salpata dalle coste libiche e diretta in Italia, con a bordo ottanta immigrati, mettendone in pericolo l’incolumità fisica e sottoponendoli a trattamenti inumani. Nell’agosto del 2015, Essaush Shauki aveva condotto come scafista un peschereccio dalla spiaggia di Zuara, in Libia, verso l’Italia con a bordo circa 600 immigrati. Arrivato a un certo punto, un’avaria al motore determinò la morte di un numero stimato di 220 persone. I superstiti furono salvati da una nave militare irlandese e portati in Italia. “Era Essaush che conduceva il natante lungo una rotta prestabilita, che aveva la disponibilità dell’unico telefono satellitare che c’era a bordo, che manteneva i contatti con gli organizzatori della traversata, che ha riparato la prima avaria al motore e che ha tentato di riparare anche il secondo guasto ed è stato sempre lui che ha cercato, in tutti i modi, di riportare la calma quando a bordo è scoppiato il panico per il definitivo arresto del motore”, aveva determinato la Corte di appello di Palermo. Nel dicembre del 2021, Essaush Shauki, scafista recidivo, è stato condannato con sentenza irrevocabile a quattordici anni e sei mesi di reclusione perché colpevole dei delitti di violazione della disciplina dell’immigrazione clandestina e morte come conseguenza di altro delitto. Nel novembre del 2021, Serhii Yakymchuk, Ruslan Kulyk e Vitalii Abdurakhmano sono stati condannati in via definitiva alla pena di otto anni di reclusione “per aver effettuato il trasporto nel territorio dello Stato italiano, su un’imbarcazione a vela battente bandiera tedesca della lunghezza di dodici metri, denominata ‘Orpheus’, di 73 cittadini stranieri clandestini di nazionalità irachena (fatto accertato in Brindisi il 26 agosto 2018)”. Nel febbraio del 2021, Alhadi Abouzid Noureddine è stato condannato in via definitiva a una pena di sedici anni di reclusione per i reati di partecipazione in concorso con altre persone non identificate ad associazione finalizzata al favoreggiamento della immigrazione clandestina, con il ruolo di accompagnamento dei clandestini dai centri di raccolta alle imbarcazioni in partenza dalle coste libiche e di scorta nella prima fase della navigazione sino all’arrivo dei soccorsi, di favoreggiamento, in concorso con soggetti non identificati, della immigrazione clandestina di 344 immigrati fatti salire, dietro pagamento di corrispettivo, in Libia a bordo di tre imbarcazioni, con le aggravanti del numero dei migranti e dei concorrenti, della esposizione a pericolo della vita degli immigrati e del fine di profitto e di omicidio volontario dell’immigrato Kellie Osman che veniva colpito con un colpo di arma da fuoco, con l’aggravante dei motivi futili e del nesso teleologico. I fatti furono commessi e accertati tra il 5 e il 6 maggio 2017 dalle autorità italiane, quando la nave Phoenix della Ong maltese Moas arrivò nel porto di Catania per far sbarcare gli immigrati.

I passeur condannati in Italia

Nel marzo del 2022, l’autotrasportato Edward Tomcza è stato condannato in via definitiva alla pena di quattro anni e sei mesi di reclusione per aver trasportato tre clandestini all’interno della motrice del suo autoarticolato. Nel 2018, il tunisino Atef Abboud, residente in Francia, aveva trasportato clandestinamente su un furgone dalla Slovenia quindici immigrati. I controlli della polizia a Ventimiglia scoprirono la tratta di esseri umani e arrestarono il tunisino. Nel febbraio del 2021, Atef Abboud è stato condannato in via definitiva per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, aggravato perché riguardante l’ingresso di più di cinque persone e perché commesso al fine di trarre profitto.

Francesca Totolo

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