Francia e Olanda dovevano essere i successivi adepti dell’impero, dopo imminenti e immaginari successi alle urne del sovranismo inarrestabile. Poi, però, è accaduto che sia a Parigi che a L’Aja abbiano vinto i cattivi (e, a ben vedere, nel secondo caso, anche i buoni facevano abbastanza schifo di loro). Trump, nel frattempo, è diventato un Bush con il riporto, ha emarginato Bannon, si è riposizionato su posizioni da destra repubblicana classica e ha attaccato la Siria. La quale, a sua volta, appena riaffacciatasi sulla scena diplomatica dopo l’isolamento e la guerra, è stata ricacciata nel cattiverio geopolitico dalla bufala dell’attacco chimico.
Putin, dal canto suo, fa ancora fare sogni bagnati a tutto un ambiente che su di lui continua a proiettare speranze adolescenziali e aspettative ideologiche, ma la linea reale del Cremlino resta realista fino al cinismo. Mosca potrebbe essere un alleato prezioso, se noi esistessimo come soggetto politico e di civiltà. Ma siccome non esistiamo, Mosca agisce per i suoi fini, indipendentemente da noi. Insomma, il globalismo non arranca. Anzi, ci sembra in buonissima salute. Ha delle battute a vuoto, senz’altro, che poi il più delle volte sono riposizionamenti interni ai suoi equilibri di potere, ma resta lì, sul trono. Il che non significa che la situazione sia più disperante di quanto non lo fosse uno, dieci, venti anni fa. Una certa rabbia popolare esiste. Una domanda di sovranità, libertà, civiltà è reale. Certi discorsi, argomenti, frame ideologici circolano, sono compresi, creano consenso. Insomma, la possibilità di giocarsela ci sono. Dobbiamo solo capire che quella partita che credevamo di aver vinto, in realtà non l’avevamo nemmeno iniziata a giocare.
Adriano Scianca
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