E’ quindi un atto non solo architettonico o ingegneristico quello cui la posa della prima pietra dà avvio, ma un atto pregno di valore simbolico e, potremmo spingerci a dire, cosmico. C’è infatti un filo conduttore evidente, nella sua simbologia eterna e ritornante, tra la fondazione di Littoria e quella di Roma. E’ fondamentale comprendere il clima di fermento ideale di quegli anni per comprendere l’importanza dei richiami alla mitologia e al passato eroico della nostra civiltà. La fondazione di una città non è un semplice atto ingegneristico e architettonico, e a sostegno di questa tesi si può addurre che soltanto in determinati periodi della loro storia i popoli sono capaci di erigere opere di questa portata e di agire in questo senso. E ovviamente questo dà un’indicazione piuttosto chiara sul perché oggi si trovi difficile, se non impossibile, realizzare opere di ben più modesta caratura. L’Italia di allora fu in grado di portare a termine una simile impresa soltanto attraverso la conoscenza di sé e del suo passato mitico, e solo il possesso di questi strumenti riuscì a dare l’abbrivio a quell’opera mastodontica, difficile a realizzarsi persino oggi e con strumenti tecnologicamente più avanzati. La fondazione di Littoria esula dal contesto puramente ingegneristico (pur essendo un fiore all’occhiello della competenza italiana in questo campo) perché va ad inserirsi nel quadro di una Missione eterna che muove i passi da un evento molto simile: lo scavo del solco che doveva individuare il confine di Roma a opera di Romolo. E’ questa la grande differenza fra il semplice costruire e il “fondare”. Basti pensare che questo secondo termine in latino ha una doppia accezione: “condo” può essere riferito tanto alla posa di fondamenta quanto alla scrittura di una poesia o di un’opera narrativa.
Un atto eroico dunque, rivoluzionario certamente e, per estendere ancora di più il significato dell’agire umano in questo senso, cosmico. A chi avesse letto l’opera più possente dello scrittore americano Cormac McCarthy non può non venire in mente la frase che pronuncia il giudice Holden dinanzi alle rovine di una città nel deserto :”Ecco i padri morti. Il loro spirito è sepolto nella pietra. Preme su questa terra con lo stesso peso e la stessa ubiquità. Chiunque si faccia un riparo di canne e vi si nasconda unisce il proprio spirito al destino comune di tutte le creature e tornerà a sprofondare nel fango primordiale senza neppure un grido. Ma chi costruisce con la pietra aspira ad alterare la struttura dell’universo”. Da sottolineare inoltre che la città di Littoria non fu costruita alla confluenza di due fiumi, sulla riva di un lago o in un’altra zona votata all’insediamento: essa fu edificata in una terra strappata alla palude, ovvero una terra redenta. E’ in questo particolare più che in altri che si annida il cuore del messaggio di chi pose quella prima pietra, di chi aveva una visione del proprio compito politico come di una missione trascendentale e simbolica. E’ lì che si disputò uno scontro tra l’Uomo e la Natura, ed è lì che prometeicamente i bonificatori domarono l’acquitrino e la terra malsana, riuscendo a trasformare quella palude in una delle terre più fertili e ridenti della nostra Nazione.
La lezione di quel 30 Giugno 1932 è chiarissima: l’operato politico di una Nazione non può e non deve prescindere dalle sue radici storiche e mitiche, le uniche capaci di fungere da bussola di navigazione e di orientare l’agire umano verso un piano superiore di civiltà di esistenza ed è sufficiente guardare alla situazione in cui oggi ci troviamo per vedere con chiarezza dove porta l’oblio di questa missione.
Federico Savastano
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