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Funzione pubblica e vita privata: considerazioni a partire dal caso Toti e Genova

by Enrico Cipriani
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giovanni toti

Roma, 18 mag – L’affaire ligure che sta riempiendo le pagine dei quotidiani e che sta infiammando il dibattito politico porta alla luce una questione molto delicata e complessa, e cioè la relazione fra vita privata e funzione pubblica in chi esercita cariche pubbliche, partendo dal caso di Giovanni Toti ma senza riflettere specificamente su quello.

Funzione pubblica partendo dal caso Toti

Non è intenzione di chi scrive fare speculazioni circa l’inchiesta in corso; propendere per l’una o per l’altra ipotesi sarebbe come costruire mattoni senza avere la malta o cercare di risolvere un problema senza avere tutti i dati. I dati sono nelle mani degli inquirenti e della difesa, e sarà il processo a stabilire la verità (processuale). Né bisogna farsi coinvolgere emotivamente dagli spezzoni di intercettazioni che sono stati pubblicati, spezzoni nei quali, curiosamente, molto spesso chi parla fa riferimento ai suoi propri o altrui comportamenti sessuali. Non si dice, qui, che la scelta di pubblicare queste e non altre intercettazioni abbia un fine politico; stupisce, però, che si faccia leva “sulla pancia dei lettori”, utilizzando, strategia scorretta e poco dignitosa, rivelazioni – o presunte tali – di comportamenti sessuali forse estremi, quasi a voler indurre il lettore a odiare chi può godere di maggiore libertà o a scandalizzarsi. Piuttosto, sarebbe più serio far capire a chi legge quanto gravi possano essere le accuse formulate: queste, e non le avventure sessuali delle persone coinvolte, dovrebbero generare scandalo, mentre, in realtà, non è così.

Niente di cui stupirsi, d’altronde, poiché la relazione fra sesso e potere ha sempre suscitato l’attenzione del grande pubblico, anzi l’ha esasperata, portata al parossismo: come non ricordare l’eco mondiale che ha avuto la relazione extraconiugale di Bill Clinton con una stagista alla Casa Bianca, relazione che costò a Clinton addirittura l’impeachment e la radiazione dall’albo degli avvocati? E che dire di Silvio Berlusconi, vituperato dalla pubblica opinione non per i (presunti) reati a lui imputati ma per le sue feste private? La natura della bestia dietro il pubblico ufficio, come recita un bravo attore in un film ormai un po’ datato.

Il reale è il nostro orizzonte

Nell’affrontare il tema presentato, bisogna evitare di lasciarsi trasportare dalla tentazione di assumere atteggiamenti moralisti o bigotti. Parimenti, è necessario evitare di lasciarsi trasportare dalla velleitaria convinzione che sia possibile vincolare i comportamenti privati attraverso leggi o codici, una soluzione che presuppone una visione del tutto illiberale e anzi autoritaria (poiché solo nei regimi lo Stato va a determinare e controllare la sfera privata o specifiche dimensioni della sfera privata dell’individuo) e che, comunque, non porterebbe all’effetto sperato, anzi, semmai, esaspererebbe il desiderio di ribellione. Guardando, dunque, alla questione in modo lucido e in una prospettiva liberale, la domanda è: in quali casi il comportamento privato va a cozzare con o a ledere la onorabilità di chi assume una carica pubblica? Per rispondere, è necessario tenere a mente un punto: l’onorabilità della carica pubblica riguarda, appunto, la carica pubblica, non la persona privata. Ciò significa, in altri termini, che chi ha una carica pubblica deve agire in modo tale che la sua azione come rappresentante delle istituzioni non sia macchiata da sospetto o da infamia.

La “doppia vita” di chi viene eletto

L’individuo che ricopre una carica pubblica ha due dimensioni: la dimensione privata e la dimensione pubblica, e quando si trova nella seconda dimensione la sua libertà di azione – e anche di scelta – è limitata dalla necessità di salvaguardare l’onorabilità della sua funzione. Questa considerazione va incontro a un’obiezione immediata: come distinguere la dimensione privata dalla dimensione pubblica? Ci sono cariche pubbliche (si pensi a un sindaco, ma anche un membro delle forze dell’ordine) che rendono la persona che le ricopre “sempre in servizio”. Così, un sindaco che esce a cena con una persona, esce con quella persona in veste di sindaco o di privato cittadino? E quanto le frequentazioni private possono influenzare la sua azione? Se si dovesse ragionare in modo radicale, l’obiettività e la totale imparzialità di una persona che riveste una carica pubblica potrebbe essere salvaguardata solamente incapsulando quella persona “in una campana di vetro”, cioè solamente se quella persona smettesse, di fatto, di vivere liberamente; una soluzione, questa, inapplicabile.

Non si può vincolare una persona che sceglie di ricoprire una funzione pubblica, come ovviamente Toti, all’isolamento; ma si può vincolarla, nel modo più rigido, all’obiettività. In altre parole, lo sforzo morale – anzi, diremmo quasi psicologico – di chi decide di servire lo Stato non deve consistere nel privarsi della sua libertà personale (per quanto una certa dose di prudenza e di riservatezza sia forse d’obbligo, considerando che uno scandalo che colpisce lui colpisce anche lo Stato) ma consiste invece nell’assumere una forma mentis, un’impostazione psicologica che lo induca a prescindere, durante l’esercizio delle sue funzioni, da qualsiasi ingerenza privata, finanche dai suoi propri sentimenti, emozioni e affetti personali. Questa capacità di prescindere dalla propria dimensione personale dovrebbe essere un obbligo morale di chi decide di servire lo Stato, a prescindere dalle norme (e ci sono) che provano a rendere effettiva e salvaguardare l’imparzialità delle cariche pubbliche; dovrebbe essere, insomma, un esercizio psicologico o addirittura spirituale, si può osare di dire, di chi sceglie di rappresentare le istituzioni.

Enrico Cipriani

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