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Così Giano Accame spiegava il legame perverso tra sinistra e disertori

by La Redazione
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giano accameRoma, 27 mag – Dopo la proposta di riabilitare i disertori, avanzata qualche tempo fa dal Pd, e dopo le celebrazioni in sordina per il centenario dell’entrata dell’Italia nella Grande Guerra, che hanno sfiorato la dichiarazione del lutto nazionale, una questione si pone: come è accaduto che la sinistra italiana finisse per diventare lo schieramento dell’antinazione? Su questo argomento riproponiamo qui uno stralcio di Socialismo tricolore, il saggio con cui nel 1983 Giano Accame voleva ricordare al socialismo craxiano che la scelta anti-nazionale non era stata né unica né obbligata per la sinistra italiana (IPN). 

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Alla sensibilità odierna la cultura che preparò ed impose l’intervento nella prima guerra mondiale appare quasi incomprensibile. Non ne accetta più non solo il prezzo di sacrifici umani, ma nemmeno gli obbiettivi. Va di moda, e con espressioni spesso letterariamente molto raffinate, persino la rivalutazione dell’impero austro-ungarico. In realtà diversi popoli che se ne liberarono oggi appaiono molto meno liberi di prima.

Ma soprattutto stenta a capire come gran parte della nostra cultura abbia deliberatamente preferito conquistare con la guerra ciò che, a dar retta a Giolitti, forse si sarebbe potuto egualmente ottenere attraverso negoziati. Noi viviamo nel mito delle mediazioni, che si propongono di aggirare senza costi di sangue le contraddizioni e i drammi della storia. La propaganda fascista ha svolto con successo nella memoria collettiva il compito di una rimozione, assorbendo su di sé il vanto di aver voluto la guerra vittoriosa.

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Il prolungamento naturale dell’interventismo nel fascismo e nella disfatta della seconda guerra mondiale ha contribuito a rafforzareinterventismo tra i socialisti la rivendicazione ancor più convinta del proprio neutralismo. Mentre la comune opposizione al fascismo ha consentito di superare senza un adeguato approfondimento critico le incrinature aperte con quei larghi settori progressisti (repubblicani, radicali, massoni, anarcosindacalisti, nazional-liberali, socialisti eterodossi) che erano stati la vera mente dell’interventismo: il primo appello per l’intervento era venuto dal repubblicano Arcangelo Ghisleri.

Sulla spinta giustificatrice dell’antifascismo in una parte della base socialista si è quindi insinuato un pericoloso processo psicologico, consistente nel farsi spesso addirittura un vanto di accuse, come quelle di diserzione, disfattismo, sabotaggio, solo perché mosse da avversari che la sconfitta del 1945 rendeva ormai superfluo confutare.

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L’irrigidimento nelle posizioni neutraliste, poi la loro degenerazione negli eccessi post-bellici del “biennio rosso” aspramente deplorati da Turati, venne inoltre esasperato in Italia da una polemica che, prima della nostra entrata in guerra e a differenza degli altri paesi intervenuti subito, ebbe quasi un anno di tempo per crescere in asprezza e avvelenarsi. Tra l’agosto del 1914 e il maggio del 1915 all’interno della sinistra italiana i rapporti si caricarono già di quei risentimenti irrazionali che più caratterizzano le liti di famiglia. Non si discuteva di tesi politiche, ma di tradimenti.

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La cultura italiana, nei suoi ambienti più vivi e d’avanguardia, era in grande maggioranza interventista. Il socialismo, isolato dall’intelligenza, cadde nella psicosi dell’incomprensione. Segnaliamo qui solo per rapida memoria l’interventismo di Gaetano Salvemini, che all’inizio del secolo su Critica Sociale aveva invece scritto contro l’irredentismo, denunciandolo come un diversivo reazionario di cui avrebbero profittato le tendenze più antidemocratiche e il militarismo. Nel 1915 arrivò a criticare le guerre del Risorgimento perché erano costate in tutto solo poco più di seimila morti e proclamò entusiasta che “la sua prima vera, grande prova la nazionalità italianala sta dando nella guerra attuale. Qui incomincia la nuova storia”.

Il giovane Jahier mobilitava di rincalzo alcuni scritti bellicisti di Proudhon per giustificare, con un testo socialista alla mano da interventismo 2rivolgere contro i socialisti pacifisti, la partecipazione all’ecatombe. L’esaltazione della guerra come esperienza spirituale e ascetica era già stata celebrata un paio di anni prima su La Voce dal più brillante e moderno dei parlamentari liberali, Giovanni Amendola: “…grazie a Dio, gli uomini continueranno a scannarsi piuttosto che ad incanaglirsi”. La letteratura italiana, coerente con se stessa, non ha poi dato una sola opera di protesta contro la guerra, che fosse paragonabile al Fuoco di Barbusse o ad All’Ovest niente di nuovo, di Remarque. Tutt’al più c’è nel suo underground qualche poesiola della scapigliatura ottocentesca e qualche anonima canzone da osteria.

Sicché in Italia si ebbe il paradosso del solo partito socialista europeo che non avesse solidarizzato con la patria in guerra, ma anche di quello che in questa posizione si trovò ad avere il minor supporto tra scrittori e artisti. Indugiando nel ricordo del proprio neutralismo il socialismo italiano si è quindi aggrappato per anni ad un episodio culturalmente poco consistente e ad una posizione che, sotto il profilo dell’impegno politico, dopo essergli costata una grave spaccatura interna con l’espulsione dell’allora direttore dell’Avanti!, fu caratterizzata più da indecisione, inerzia, ambiguità di compromesso che non dalla larghezza o dal rigore della sue visioni.

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Francesco Misiano

Francesco Misiano

[C’è poi da ricordare] il caso del disertore Francesco Misiano, che destò scandalo nel periodo postbellico allorché fu eletto deputato socialista (poi passato ai comunisti con la scissione del 1921 al congresso di Livorno). L’elezione di Misiano fu accolta negli ambienti combattentistici come una provocazione grave. Da Fiume d’Annunzio invitò i suoi legionari a dargli la caccia: “Infliggetegli il castigo immediato, a ferro freddo”.

Pochi badarono al fatto che la sua candidatura si basava su titoli diversi da quello di disertore, avendo già alle spalle un cursus honorum di dirigente sindacale e di partito di una certa rilevanza. Indicativa della gravità del baratro che si stava spalancando è la coincidenza degli opposti per cui presso l’elettorato socialista la qualifica di disertore assunse, con segno positivo, lo stesso significato emblematico e di sfida che vi attribuirono i combattenti. E quindi i fascisti, che cacciandolo dalla Camera interpretarono, dopo averla ancor più sovraeccitata, la loro indignazione.

Così le posizioni andavano sempre più divaricandosi, con una reciproca spinta all’estremismo. Nella mitologia delle sezioni socialiste, Misiano era il prode compagno che aveva sfidato condanne per non servire “la patria di Lorsignori”; che per non dover sparare contro altri proletari era stato costretto a scappare in Svizzera; che poi dopo la guerra era andato tra i primi a portare la solidarietà ai Soviet in Russia; che aveva partecipato ai moti rivoluzionari in Germania nel 1918-19 finendovi per dieci mesi in prigione. Quindi a suo modo un combattente non privo di coraggio e di coerenza internazionalista.

Il premio alla coerenza dei disertori, in un paese dove cinque milioni di uomini in armi avevano contribuito a vincere la guerra, significava però confinare il partito in un ghetto psicologico, tenendolo ancor più lontano di quanto non lo fosse già nell’anteguerra da una più matura cultura di governo. Significava anche accentuare i motivi di divisione tra le masse, scivolare sempre più nel gioco al massacro di una contrapposizione non solo tra rossi e neri, ma tra rossi e tricolori, regalando più di un argomento alla virulenta espansione fascista.

Giano Accame

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1 commento

Giuseppe Spezzaferro 27 Maggio 2015 - 7:52

…per contestualizzare necessita conoscere i fatti… in India i comunisti sono campioni di nazionalismo (è nel Kerala la causa della detenzione dei marò), tanto per dirne una… fu il garibaldino Francesco Crispi a ordinare l’occupazione di Asmara e la Libia fu occupata ai tempi di Giolitti (un decennio prima del Fascismo)… oggi nessuno ha l’ardire di proclamarsi colonialista… ieri vedere una locomotiva che sbuffava inorgogliva perché sulle rotaie correva il progresso, oggi quel fumo fa gridare allo scandalo perché inquina… se non si contestualizza, si fa soltanto bla bla… ricordo quando Giano lanciò il socialismo tricolore e ricordo Pacciardi quando parlava di Ghisleri…

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