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Gioventù bruciata: l’inutilità del settore giovanile calcistico in Italia

by Lorenzo Cafarchio
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Gianluigi Donnarumma, estremo difensore del Milan

Gianluigi Donnarumma, estremo difensore del Milan

Roma, 29 nov – Non ci volevano gli svizzeri per capirlo, ma i settori giovanili nel nostro paese non valgono più niente. L’osservatorio calcistico elvetico, il CIES, ha elencato le migliori 20 squadre europee per giocatori cresciuti nel settore giovanile, che ora, militano in prima squadra oppure in uno dei 31 principali campionati del vecchio continente. Neppure l’ombra di una formazione tricolore.

topu21Al primo posto il Partizan Belgrado – Jovetic, Savic, Nastasic, Ljajic e Markovic alcuni tra i tanti talenti sfornati dalla cantera serba – che può contare su 13 giocatori formati in casa ed impegnati in prima squadra e ben 65 sparsi per l’Europa, totale di 78. Sul podio l’Ajax, a quota 75, e il Barcellona, a 62. Il metro di giudizio prende in considerazione i calciatori, come da definizione Uefa, tesserati per almeno tre anni con una determinata società nella fascia d’età tra i 15 e i 21 anni.

Per vedere, in classifica, la prima squadra italiana bisogna restringere il campo ai primi cinque campionati, per importanza, del nostro continente – Francia, Germania, Inghilterra, Italia e Spagna – trovando l’Inter in undicesima posizione e l’Atalanta in diciottesima piazza, al pari del Bayern Monaco. Ma il vero dato allarmante è l’8,6% di atleti cresciuti nel settore giovanile che ad oggi giocano in prima squadra, peggio di noi solo la multiculturale e inflazionata Premier, ferma al 7,7%.topu215

Nella top ten, della seconda graduatoria, troviamo ben quattro club spagnoli – Atletico Bilbao, Barcellona, Real Madrid e Real Sociedad – ed addirittura cinque compagini francesi – Bordeaux, Lione, Psg, Rennes e Tolosa – dominio intervallato dalla presenza del solo Manchester United. Assodato che la nostra cultura calcistica è figlia di un esterofilia a tratti malata, fatta di calciomercato alla ricerca di beniamini stranieri con cui rattoppare le rose, l’esportazioni di talenti fuori dalle Alpi è un fattore tabù. Una volta formatosi terzini, trequartisti e mezzale preferiscono, se bocciati dal club che gli ha fatto da padrino in fase di crescita, scalare a ritroso i campionati della nostra nazione, piuttosto che cimentarsi in un’esperienza all’estero, scelta che viene intrapresa solo dai calciatori di fascia molto alta e già affermati.

In questo bailamme notiamo la stroncatura del lavoro degli addetti nei settori giovanili, montagne di danaro sperperato e ripartito tra plusvalenze e compravendite. Il risultato, padre e figlio di ogni strategia, impone di fare a meno della lungimiranza, trasformando miniere di diamanti grezzi da lavorare, in un buio cunicolo dal quale stare lontani.

Lorenzo Cafarchio

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1 commento

Massimo 30 Dicembre 2015 - 9:49

Del resto due mondiali di fila li abbiamo vinti nel 1934 e 1938, alla quale si aggiungono un oro olimpico nel 1936 e 2 coppe intercontinentali conquistati prima della creazione dei campionati mondiali di calcio.
Bisogna aggiungere altro ?

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