Roma, 10 ott – C’è un quesito da porsi inevitaibilmente su Hamas e sul ruolo centrale assunto nelle lotte palestinesi per l’indipendenza e la libertà. Ovvero la qualifica di “terrorismo” sparata un po’ in tutti i casi che facciano più comodo. E ne discende una naturalissima riflessione.
Hamas, terrorismo o lotta armata per la libertà?
La parola “terrorismo” ben prima di Hamas, sull’enciclopedia Treccani, è definita come “l’uso di violenza illegittima, finalizzata a incutere terrore nei membri di una collettività organizzata e a destabilizzarne o restaurarne l’ordine, mediante azioni quali attentati, rapimenti, dirottamenti di aerei e simili”. Alla definizione seguono una serie di considerazioni di natura giuridico internazionale, enfatizzanti parecchio la lesione di “diritti umani fondamentali”, come quello alla vita, della comunità “attaccata” dal terrorismo di turno. Se però andiamo a focalizzarci razionalmente sulla questione, è ovvio che in un conflitto si generino delle vittime, ed è altrettanto ovvio che in una situazione di oppressione, discriminazione costante, raid alternati a parole vuote di pacificazione, si producano reazioni violente che possano coinvolgere anche innocenti. Insomma, i presidenti – democratici o meno che siano – nelle attività militari producono giocoforza vittime civili. Come si fa a dividerli dai “terroristi”? Domanda aperta che spesso non viene neanche formulata. Hamas è solo terrorismo o anche qualcos’altro?
Un confine labile e complicato, ma che non si può ignorare
È ovvio che a prescindere dalle valutazioni su Hamas il terrorismo come fenomeno esista e non c’è neanche necessità di spiegare il perché. Il problema sorge nel momento in cui la parola “terrorismo” viene applicata a qualsiasi reazione contro un qualsivoglia oppressore, politico o territoriale che sia. Per anni i combattenti dell’Ira, in Irlanda del Nord, sono stati definiti “terroristi” e ancora oggi vengono stigmatizzati come tali. Ma cosa facevano i “terroristi” dell’Ira? Lottavano per la liberazione e l’unificazione dell’Irlanda dal giogo britannico, senza troppi giri di parole inutili o ragionamenti eccessivamente complicati. Seguendo questo metodo di giudizio, praticamente “terrorista” può diventare chiunque. In casa nostra, i combattenti nelle file dei movimenti risorgimentali potrebbero essere considerati terroristi. I protagonisti delle cinque giornate di Milano? Terroristi. Fatto sta che quella lotta contribuì enormemente al processo di unificazione e liberazione della Nazione italiana, al di là di qualsiasi giudizio di valore pure ipocritamente negativo, logicamente proveniente da parte austriaca.
Insomma, seguendo tale logica chiunque combatta per afrrancarsi in qualsivoglia maniera è potenzialmente un terrorista. Questo senza negare che l’affiliazione a un’organizzazione come Hamas abbia generato e sviluppi tutt’oggi un affare difficile da gestire per chi sostiene e supporta la causa d’indipendenza palestinese. E senza negare le differenze comunque nette con l’Olp, il cui esercito di liberazione sarebbe stato senz’altro lo strumento migliore per ripararsi almeno in parte dalle inevitabili critiche provenienti dal fronte filoisraeliano.
Stelio Fergola