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Con Evola, oltre Evola: Adriano Romualdi e il «barone»

by La Redazione
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Questo articolo, che analizza il rapporto intellettuale tra Evola e Romualdi, è stato pubblicato sul Primato Nazionale di maggio 2018

Quasi tutti gli studiosi che, da prospettive diverse, si sono occupati delle correnti di pensiero della destra nel dopoguerra, hanno riconosciuto in Julius Evola (1898-1974) e Adriano Romualdi (1940-1973) due delle più importanti intelligenze di questo ambiente culturale. Spesso vengono menzionati insieme, perché, pur appartenendo anagraficamente a due diverse generazioni, hanno percorso i medesimi sentieri intellettuali. Da un certo punto di vista, le opere di Romualdi hanno costituito una sorta di sviluppo e integrazione di quelle evoliane, o in alcuni casi una traduzione pratica di posizioni che, in Evola, erano rimaste allo stato di affermazione di principi generali.

Gli evoliani

Il pensiero di Evola, «scoperto» nel secondo dopoguerra dalla giovane generazione dei «vinti», venne approfondito e dibattuto sin dai primi anni Cinquanta sulle tante riviste della destra, cui lo stesso Evola collaborò attivamente. In quegli anni che seguirono la sconfitta dell’Italia nella Seconda guerra mondiale – epoca in cui uscirono Orientamenti e Gli uomini e le rovine – prevalse una lettura militante di Evola, alla quale solo nel tempo si contrapposero, più o meno apertamente, interpretazioni di segno diverso, ispirate dalla «equazione personale» tratteggiata in Cavalcare la tigre. In un certo senso, si delinearono così una «destra» e una «sinistra» evoliane. La prima corrente, più ortodossa, non di rado finì vittima di quel «mito incapacitante» denunciato anni dopo da Marco Tarchi: l’idea di ciclicità della storia poteva portare ad avvitarsi in un grigio fatalismo e nell’isolamento dal mondo. L’altra corrente annoverava invece tesi eterogenee (d’altronde la posizione evoliana, come ha chiarito Giovanni Damiano, è essenzialmente una filosofia della libertà), comprese quelle di coloro che, all’insorgere dei moti del Sessantotto, tentarono di insinuarsi nell’altrui protesta allo scopo di condizionarne gli esiti.

Il giovane studioso
rielabora e riconduce
le eterogenee letture
dell’opera evoliana
a un saldo
principio di ragione

Per opera di Adriano Romualdi le varie letture di Evola vengono rielaborate e ricondotte a un saldo principio di ragione. Lontano tante dalle astrusità occultistiche quanto da un cattolicesimo tradizionalista e bigotto, tanto dai vagheggiamenti nazi-maoisti quanto da un nazionalismo ottocentesco ed esibizionistico, Romualdi tracciò con precisione una serie di indicazioni operative rivolte soprattutto ai giovani, ai quali la destra partitica non era in grado di offrire altro che un «perbenismo imbecille».

Romualdi trasportò
il pensiero evoliano
dalle lontane vette
della filosofia
sino all’agone politico

In effetti, nelle infervorate discussioni dei circoli culturali e politici, così come negli articoli per le riviste d’area (ricordiamo in particolare il mensile L’Italiano, diretto dal padre Pino) Adriano Romualdi trasportava il pensiero di Evola dalle lontane vette della filosofia sino all’agone politico, talvolta dissentendo dallo stesso maestro. A ben vedere, certi giudizi drastici su persone (come quello su Guénon, cui viene ascritto quale unico merito l’essere stato amico di Evola), epoche storiche (gli stati assoluti prerivoluzionari, le cui aristocrazie sono descritte impietosamente da Romualdi come congreghe di damerini imbellettati) o vicende specifiche (la parabola di Napoleone, visto da Romualdi in modo piuttosto entusiastico) divergono non poco da quelle evoliane, e così pure su alcuni personaggi o eventi più vicini nel tempo l’allievo spesso prende le distanze dal maestro, con rispetto ma con fermezza. Il Risorgimento, che per Evola è «inquinato» dall’opera equivoca e democratica della massoneria, in Romualdi è invece il compimento «romantico» della ancestrale vocazione nazionale: «Non col grido “viva il suffragio universale”, ma con quello di “Roma o morte” partirono le squadre di Garibaldi».

Evola non ha sempre ragione

Le divergenze tra i due autori non sono poche. Si vedano per esempio Julius Evola: l’uomo e l’opera, il saggio/biografia che Romualdi dedicò a Evola in occasione del settantesimo compleanno di quest’ultimo, o il saggio La «nuova cultura» di destra (ora in Una cultura per l’Europa), in cui tutti i limiti di un settarismo evoliano vengono portati alla luce: «C’è il rischio che il tradizionalismo – per volersi collocare fuori da tutto il mondo moderno – sfoci in un atteggiamento non più meta-storico, ma anti-storico. Il limite del tradizionalismo è il reazionarismo». O ancora: «Certo, c’è Evola e Evola. C’è l’Evola per i maniaci dell’occulto che lo confondono con Madame Blawatski o con Monsieur Gurdjeff. C’è un Evola per i settari, per i cenacoli della mezza cultura, che però non lo trovano mai abbastanza “magico” e finiscono col preferirgli Ciro Formisano detto Kremmerz».

Leggi anche: Ma Saviano ha davvero letto i libri di Evola?

Forse il più chiaro esempio dell’opera di «traduzione» di Evola a favore dei giovani di destra è costituito dal curioso progetto costituzionale di Adriano Romualdi, pubblicato su Ordine Nuovo nel 1970. Si tratta della trasposizione in una bozza di norme giuridiche degli orientamenti politici espressi da Evola ne Gli uomini e le rovine e, al tempo stesso, di un superamento della prospettiva «reazionaria» del maestro: «Escluse altre utopiche soluzioni – la monarchia, i notabili, la camera alta – che talvolta fan capolino persino nelle pagine d’un J. Evola, ma che non hanno più alcuna possibilità di risorgere in una società che non offre più nessun residuo di strutture organiche, non resta a mio parere che il partito unico, come “ordine di credenti e di combattenti” e matrice di una nuova aristocrazia politica». Nonostante queste e altre marginali prese di distanza, Evola riconobbe apertamente Romualdi come uno dei suoi più acuti lettori e come uno dei «più qualificati esponenti della nuova generazione». Il destino volle che l’allievo precedesse nella morte il maestro: per quell’occasione (forse la prima e unica volta), Evola scrisse un articolo da cui traspariva profonda commozione.

Alberto Lombardo

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