Riproponiamo questo articolo in occasione dell’80esimo anniversario della Prima battaglia di El Alamein
Roma, 5 lug – Oltre alla “Folgore” e alla “Ariete”, una Divisione Corazzata si distinse nei combattimenti a El Alamein: una Grande Unità i cui caduti e superstiti carristi, artiglieri e fanti furono raramente ricordati dalle autorità militari e dai mass media nel dopoguerra a causa della “damnatio memoriae” incorsa al suo nome: “LITTORIO”. La ricordiamo qui nella narrazione di uno dei suoi ufficiali, il Ten. Col. Dino Campini, già comandante del IV Btg. Carri M. [IPN]
1 LO SCHIERAMENTO
La Divisione «Littorio» era, insieme con elementi tedeschi, costituita in Raume. Tre erano questi raggruppamenti: quello del Nord, quello del centro e quello di sud. […] Davanti a noi, a tre o quattro chilometri, a tenere la linea, tra i campi di mine, la Divisione «Trento» insieme con Granatieri germanici e artiglierie sparse tra i reparti. Il nostro schieramento si poteva definire, considerandone la profondità, offensivo. Tutto proiettato in avanti, compresi gli ospedali da campo!
2 L’ATTACCO NEMICO
3 INCERTEZZA DELLE FANTERIE
Mezzanotte era, e i carri distavano dal campo di mine un quattro chilometri: se quei soldati non raccontavano storie, nel percorrere di buca in buca la distanza in quell’inferno di artiglieria, più di un chilometro per ora non potevano aver fatto. La linea della fanteria allora non aveva resistito già dall’inizio. Poteva darsi però, conclusi, che quei soldati esagerassero, sorpresi in corvè dall’attacco: e le cose non erano così gravi. Gravissime erano. E’ indubbio che la linea della fanteria dimostrò una capacità reattiva minima. Le cause erano molteplici, assolute e contingenti. Tra le assolute è da considerare l’avvento dei meccanizzati che ha fiaccato lo spirito delle fanterie: il fante pensa al carro come a un mezzo invulnerabile, ignorando quante siano le preoccupazioni del carrista che ha il nemico più insidioso proprio nel cannone di fanteria. Causa contingente, che concorreva a indebolire il morale dei reparti al fronte egiziano era, tra le altre, una circolare dello Stato Maggiore che prescriveva, per il rimpatrio, una permanenza nei reparti operanti, cioè in linea, perché non si parlò mai di riposo, di trentasei mesi. Trentasei mesi di linea in quel tipo di Africa, senza un permesso. Chi ha ideato questo delitto non ha mai visto neppure un ingenuo cammello! Notizie successive confermarono la gravità della situazione; il nemico allungava il tiro. […]
4 MI SCRISSE LA MADRE…
Spuntò l’alba del 24 ottobre – si ritrovarono i collegamenti. Chiaro ormai che le fanterie
5 L’ANIMA DEI CARRISTI NON LASCIA IL MOTORE
A mezzodì del 25 ottobre, dopo un breve rapporto del Colonnello Casamassima, fissata una direttrice di attacco, a formazioni aperte, in quarta velocità, ci si scontrò con l’avversario. Combattimento rapido e sanguinoso: il nemico, fermo, aveva la scelta dei bersagli. L’effetto dei perforanti sulle nostre corazze si rivelò una sorpresa: proiettili al fosforo usati per la prima volta e che incendiavano l’ambiente dove esplodevano. Una triste esperienza. Si consideri anche la minor velocità dei carri tedeschi della 21a Divisione, partiti con noi all’attacco e che erano rimasti indietro. Il fuoco che doveva distribuirsi su quattro chilometri di fronte si concentrava sui mille metri del nostro schieramento. Non potevan certo aver buon gioco i nostri carri di quattordici tonnellate con un cannone da 47 contro quelli nemici del tipo Sherman, di ventotto, con un cannone da 75. Neppure a numero pari potevano aver buon gioco. Figuriamoci nella proporzione in cui erano di uno a quattro! Nonostante questi svantaggi, mentre qualcuno dei nostri carri colpiti, prima che l’incendio raggiungesse i serbatoi, con a bordo solo morti o moribondi, correva ancora verso l’avversario, come un immenso rogo semovente, il nemico venne respinto. Oltre che dal fuoco dei pezzi da 47, non sempre efficace sulle corazze americane, venne respinto dal nostro coraggio: e ancor più da quello dei morti che procedevano sulla sabbia nei loro carri in fiamme. Molti carristi, per abitudine, tenevano l’acceleratore abbassato con un artificio! Giova pensare al significato di questa processione di mostri fiammeggianti, scossi dai bagliori variopinti delle granate contenute nel ventre, irreali come in una paurosa leggenda fantasma. L’anima dei carristi morti non lascia il motore! Come potrebbe altrimenti un carro incendiato e squarciato seguitar a dirigersi verso il nemico? Così ci sgombrarono il campo pur se i nostri colpi non erano micidiali e si era andati all’attacco senza un aiuto d’artiglieria. Contro uomini vivi, si può combatterli non contro morti! Il campo rimase inutilmente a noi. Lo scontro, durato non più di dieci minuti, costò a noi diciotto carri, quindici agli angloamericani.
6 MOLTI MANCAVANO ALL’APPELLO
Fu proprio all’inizio di questo attacco che venne ferito il Colonnello Casamassima. Un carro tedesco lo raccolse e portò via e fu per noi un vero dolore perché gli volevamo bene. […] L’allontanamento di Casamassima mi poneva di fronte a problemi che richiedevano un’immediata soluzione. E’ facile, quando si è tranquilli, riordinare un reparto; ma è difficile quando imperversa intorno una tempesta di ferro. Io ero l’unico rimasto tra i comandanti di compagnia. Considerai che sarebbe stato peggio restare ancora isolati e raggruppai i carri spostandoli a destra, sul fianco del reggimento corazzato della 21a Divisione. Mi fu così possibile eseguire un primo controllo della forza. Il capitano Piccinini della 3a compagnia, un caro amico, era morto. Presso il suo carro, agonizzante, ormai senza un braccio e con una larga ferita dal collo alla spalla, a un suo soldato che gli faceva animo aveva risposto che di coraggio ne aveva anche troppo. Al tenente Ronga, comandante della 2a Compagnia, era stata asportata un’anca da un colpo ed era stato messo al riparo in una piccola buca, con il Tenente Marchioni, fortemente ustionato. I Sottotenenti Ficaia, della 2a e Cuzzoni della 1a, la mia, erano bruciati nei loro carri. Considerate le perdite subite, non rimaneva che ridurre le compagnie su due plotoni di cinque carri. E questo era il massimo che si poteva ottenere perché nei corazzati, come una volta nella cavalleria, reparto impiegato è reparto perduto: è necessaria molta abilità per riportare, dopo uno scontro violento, i mezzi in condizioni, sia pur minime, di efficienza.
7 E I FERITI?
All’imbrunire giunse l’ordine di tornare davanti alle batterie da 88 della «Littorio». Nella notte si pensò al ricupero dei feriti. Mentre per tutti gli altri Corpi è previsto che i feriti siano raccolti e trasportati a un posto di medicazione, questo per i carristi non si verifica. Si deve pensare che il concetto del posto di medicazione fisso è legato all’idea tradizionale della linea statica e non è valido per reparti che hanno la loro ragione di esistenza nel movimento. Il problema del posto di medicazione i tedeschi l’han risolto con speciali mezzi blindali che seguono immediatamente il reparto. In Italia, con quella mancanza di senso pratico e incompetenza che distinguevano gli organi preposti ai problemi della mobilitazione dei corazzati, si era assegnato ai battaglioni carri, per il disimpegno del servizio sanitario, un autocarro leggero che, come si può ben comprendere, era assolutamente inadatto al compito. Perché questo autocarro servisse, il nemico avrebbe dovuto essere tanto gentile da risparmiarlo. Se pur riusciva a distinguerlo dagli altri infiniti mezzi che intervengono in un combattimento di corazzati. L’unica difesa per il camion del medico poteva essere, al più, una speciale preghiera da far recitare all’alba o al tramonto. Preghiera che poteva anche contenere un certo numero di maledizioni indirizzate a quei distinti signori che, all’Ispettorato o al Centro Studi per la Motorizzazione, manipolavano la quintessenza della nostra regolamentazione. Capitava così che, per le prime cure ai nostri feriti, ci si appoggiava in genere sul servizio sanitario tedesco, a cui molti di noi debbono la vita.
8 HO TROVATO UN CAMERATA
Ti è piaciuto l’articolo?
Ogni riga che scriviamo è frutto dell’impegno e della passione di una testata che non ha né padrini né padroni.
Il Primato Nazionale è infatti una voce libera e indipendente. Ma libertà e indipendenza hanno un costo.
Aiutaci a proseguire il nostro lavoro attraverso un abbonamento o una donazione.
Ricordiamo TUTTI i Nostri Valorosi Caduti con deferenza e gratitudine ! PRESENTI !
Li abbiamo ricacciati indietro solo con le nostre Pire Sacrificali… ! Il Motto dell’Ariete è: “Chi è meglio di Noi si trucca” – Quello della Littorio, sarà forse: “Chi è meglio del Nostro Fuoco ?” –