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La partecipazione dei lavoratori: a Roma il convegno di Ugl con l’Istituto Stato e Partecipazione

by Sergio Filacchioni
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Partecipazione

Roma, 12 ottobre – Si è svolto lo scorso martedì 10 ottobre il convegno intitolato “La partecipazione dei lavoratori: sviluppi e prospettive”, presso il Palazzo dell’Informazione di Piazza Mastai in Trastevere. Ad organizzare l’evento l’Unione generale del lavoro (Ugl) e l’Istituto Stato e Partecipazione, che insieme hanno dato vita ad un animato e interessante dibattito sul tema del lavoro, della partecipazione dei lavoratori agli utili d’impresa ma anche su economia, territorio e futuro della Nazione.

La partecipazione al bivio della storia

Il tema della partecipazione dei lavoratori è una battaglia storica dell’Ugl, che sin dalla sua fondazione come Cisnal ha raccolto, elaborato e riproposto l’eredità storica del sindacalismo rivoluzionario. Oggi più che mai però, il “vecchio sogno” che fu del Fascismo e poi della destra sociale ha finalmente una congiuntura politica ed economica favorevole alla sua realizzazione: perchè se è vero che l’Articolo 46 della nostra Costituzione sancisce che “la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende”, è vero altrettanto che a questo tipo di “vocazione” costituzionale non è mai stato dato corpo legislativo e giuridico nell’arco di settantasette anni di storia repubblicana. Come nota in uno degli interventi di apertura del convegno Maurizio Castro – Direttore master Cuoa in strategia aziendale – oggi ci troviamo di fronte al “convergere di una traiettoria produttiva e normativa” che rendono la partecipazione non solo una soluzione ottimale ma perfino rivoluzionaria: quello che il direttore definisce infatti come “sbriciolamento della globalizzazione”, iniziato nel 1989 e passato dalla crisi Covid del 2019, ci impone la necessità produttiva di “ricompattare le filiere” su di una dimensione nazionale e territoriale; inoltre anche le normative sul lavoro si sono mosse verso una dimensione “etica” e “comunitaria” della gestione aziendale, a partire dalla Legge 231 del 2001. Il terreno quindi è molto più favorevole rispetto al dopoguerra e anche Ettore Rivabella – sindacalista e rappresentante del Centro studi Kulturaeuropa – ha sottolineato come una legge “attuativa” della partecipazione “può fare la differenza” di fronte ad un capitalismo finanziario che ha perso sia la dimensione territoriale, grazie ai continui decentramenti di produzione che a partire dagli anni ’90 hanno visto l’Italia perdere grosse fette di ricchezza, sia la dimensione temporale, nel senso di perdita di progettualità di lungo periodo.

La partecipazione come “missione eroica”

Ma in cosa consiste il progetto partecipativo che Ugl ma ultimamente anche la Cisl sta propugnando? Il giornalista e scrittore Mario Bozzi Sentieri lo delinea come “gestione dei processi produttivi”: per dare quindi concretezza all’articolo costituzionale serve che all’interno delle aziende, dalla più piccola alla più grande, si costituisca una vera e propria “rappresentanza dei lavoratori” che possa non solo percepire un dividendo, ma sedersi con il datore di lavoro per progettare quella strategia di “lungo periodo” che come fatto notare da Rivabella solo un lavoratore radicato nel suo territorio può garantire. Insomma, la partecipazione si conforma anche e soprattutto come un nuovo modello che può rispondere alla crisi di rappresentanza e dei partiti politici, richiamando le suggestioni Jüngeriane e Gentiliane del “lavoratore creativo” (Arbeiterhomo faber) e il progetto “incompiuto” che fu del corporativismo fascista. In secondo luogo potrebbe far entrare per la prima volta il lavoro in una dimensione storica “autentica”, nel senso di renderlo attore ed agente dei processi di trasformazione del paesaggio, della società e della comunità in cui esso si inserisce come valore, e non come semplice impiego. Se queste possono sembrare suggestioni eccessivamente “oniriche”, in ogni caso si deve poter dare una risposta economica, sociale e politica alla desertificazione industriale e alle delocalizzazioni: riposta che Francesco Guarente e Gianluca Passera – entrambi dell’Istituto Stato e Partecipazione – assegnano ad uno Stato che torna a tutelare il lavoro e che di riflesso, tutela la Patria tutta lottando contro gli imponenti gruppi finanziari che oggi la fanno da padrone. Una missione che Francesco Carlesi, presidente dell’Istituto, non esita a definire “eroica” per il compito che si configura: quello di portare a compimento la “civiltà” del lavoro in un mondo di mercanti, quello di riportare responsabilità ed etica in un mondo deregolamentato, quello di riallacciare il lavoro alla patria secondo la visione mazziniana in un mondo che ha visto saldarsi il capitalismo finanziario con l’internazionalismo marxista.

Parola al segretario generale

Ad apertura e chiusura degli interventi ha parlato il Segretario Generale dell’Ugl Francesco Paolo Capone che ha ribadito l’originalità dell’idea partecipativa e il suo potenziale effettivo: aumentare la ricchezza dei lavoratori, aumentare i gradi di responsabilità all’interno delle gerarchie aziendali, aumentare il peso internazionale di quell'”eccellenza italiana” che rischia di diventare ricordo a causa delle politiche rapaci della scuola “Britannia“. Se infatti le multinazionali si sono arricchite il guadagno dei lavoratori italiani negli ultimi vent’anni è sceso del 2%. Capone ha poi allargato la riflessione sulla proposta di legge che istituirebbe i consigli di gestione nelle aziende coinvolgendo l’amministrazione pubblica: secondo il segretario infatti è necessario innescare un circolo virtuoso tra lavoro e territorio portando la concertazione su di un piano non solo privato ma anche pubblico, auspicando dei nuovi “Contratti di Comunità” che possano essere siglati non solo da lavoratori e datori, ma anche dai rappresentanti “pubblici” che operano sul territorio, riannodando così quel filo che la globalizzazione ha violentemente reciso. Insomma, il progetto partecipativo ha fatto un passo avanti nel reale uscendo dalla bolla di “memoria” in cui molti l’avrebbero volentieri lasciata: è importante sottolineare come quest’idea è ben lungi dall’essere “utopica”. In Germania come in Francia, nei paesi scandinavi come in tutto l’Est Europa sono già in corso dei processi di trasformazione partecipativa del lavoro. In Italia soltanto, nonostante solo noi lo deteniamo come diritto costituzionale, non si sono fatti sostanziali passi avanti. Il momento secondo tutti gli intervenuti sembra più che mai propizio per incamminarsi di nuovo verso quella che nessuno esita chiamare rivoluzione.

Sergio Filacchioni

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