Roma, 27 ott – “Professionisti dell’antimafia” è l’espressione, tanto famosa, quanto infelice, con la quale Leonardo Sciascia, nel 1987, si scagliò contro la nomina di Paolo Borsellino a Procuratore Capo di Marsala. All’epoca erano ancora lontane da venire le stragi di Capaci e Via D’Amelio e il pool di magistrati siciliani, impegnati in prima linea nella lotta alla mafia, non godeva dell’assoluto rispetto che oggi evoca il ricordo del martirio eroico di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Così, secondo l’assunto del sicilianissimo scrittore, all’epoca il trovarsi faccia a faccia con il piombo mafioso non sarebbe stato merito, quanto una scorciatoia carrieristica. La polemica che seguì segnò irrimediabilmente gli animi e le vite professionali di coloro che ne furono coinvolti: probabilmente il Consiglio superiore della magistratura anche per tale motivo non scelse Giovanni Falcone quale capo dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, e perse l’occasione di segnare un ulteriore progresso nella lotta alla mafia. Il tempo e purtroppo anche il tritolo e il sangue hanno rivelato quanto ingiusta e poco opportuna fosse questa accusa.
Il tono con il quale Sciascia caricò la sua invettiva torna di attualità proprio in questi giorni e sembra adattarsi perfettamente ad alcuni professionisti che sull’antimafia hanno costruito le proprie fortune.
Infatti, l’indagine della Procura di Caltanissetta e le relative intercettazioni che ancora una volta riempiono le pagine dei giornali (purtroppo, è il caso di aggiungere, perché restano comunque strumenti investigativi e non mezzi di ricerca per le inchieste giornalistiche) rivelerebbero un agghiacciante connubio tra magistrati e avvocati che, pur trovandosi impegnati su uno dei fronti più delicati del contrasto alla mafia, quello della repressione delle attività economiche illecite e della loro bonifica, gestiscono l’incarico tra favoritismi e raccomandazioni, con una protervia che farebbe impallidire anche il boss più incallito.
L’accaduto manifesta il prodotto culturale degli ultimi venti anni di antimafia: senza entrare nel merito della vicenda e senza lasciarsi andare a condanne sommarie e premature, l’impressione è quella che al di là dell’ossequio formale alla memoria dei caduti e dei solenni impegni a rafforzare sempre di più gli strumenti di contrasto alla criminalità organizzata, l’eliminazione di questo cancro sia ancora lontana. E lo dimostrano le connivenze e la cortina di mistero che copre ancora alcuni aspetti delle stragi. Fra tutte, le nebbie della “trattativa”.
Sarà anche vero, allora, che la mafia non ha vinto, ma è pure vero che anche senza vincere ha infettato fasce ampissime della cosiddetta società civile. A ben vedere, però, l’abisso nel quale sta sprofondando una certa antimafia ci restituisce più chiara l’immagine di quella vera. Per riassumerla con un esempio, è sufficiente essere capaci di cogliere la differenza tra chi è saltato in aria con la sua auto blindata e chi, invece, usa la stessa auto di servizio blindata per andare al mare a sirene spiegate ed evitare il famigerato traffico di Palermo.
Società degli Scudi