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Lavoratori stagionali, il dramma degli stipendi ridicoli

by La Redazione
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Roma, 23 giu – Altro che “lavori che gli italiani non vogliono più fare”. Il dramma della mancanza di lavoratori stagionali dimostra, semmai, il contrario, come riporta anche Tgcom24.

I lavoratori stagionali mancano, ma le paghe sono irricevibili

Lo spunto viene da un servizio di Controcorrente, su Rete 4. Sovente non si fa che parlare di abbondanza di lavoro, di ristoranti e bar che non riescono a trovare impiegati, invero non solo per questa estate ma in generale. E c’è la solita lamentela: le persone non hanno voglia. Il servizio del programma televisivo però, svela l’inghippo. Tramite telecamere nascoste e domande ad alcuni titolari di attività di ristorazione e di stabilimenti, si scopre che il finto richiedente lavoro, munito di curriculum, riceva solo proposte molto difficili se non impossibili da accettare, in termini di stipendio. Paghe che vanno dai 700 ai 1200 euro, e per sei giorni a settimana. Senza contare i turni serali. Dei sei datori di lavoro intervistati, solo uno ha offerto all’inviato un contratto a tempo pieno. Gli altri hanno sempre proposto di lavorare al nero. Emblematiche le parole di uno degli ignari “intervistati”: “Qui se ci mettiamo a fare diritti e doveri significa che dobbiamo chiudere, perché se facessimo tutto in regola dovremmo chiudere“.

La colpa, spesso, non è dei datori di lavoro

Difficile dare la colpa esclusivamente ai datori di lavoro, che spesso devono far fronte anche alla necessità di sopravvivere, oltre che a quella di guadagnare, in un contesto dove la tassazione è asfissiante, in cui abbiamo appena passato due anni di massacrante gestione del Covid e, come se tutto ciò non fosse stato abbastanza, pure i drammi generati dalla guerra in Ucraina. Insomma, è sacrosanto chiedere stipendi adeguati, ma è altrettanto importante capire che anche chi offre lavoro non stampa soldi. Specialmente in questa disgraziata fase storica. Dunque, di chi la responsabilità? Principalmente di chi opprime l’economia nazionale da almeno vent’anni, a suon di tasse, di impoverimento di classi sociali (consumatori che spendono) e di distruzione di tutele per le fasce deboli della popolazione (le quali, ci si creda o meno, pure possono diventare consumatori attivi).

Alberto Celletti

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