Roma, 8 set – Il buon risultato della M.V.S.N. in Africa portò ad un impiego di grandi unità della medesima anche nella guerra civile spagnola scoppiata alla fine del 1936 e nella quale l’Italia intervenne in forma non ufficiale, con l’invio di armi e mezzi, e soprattutto di uomini. L’Esercito partecipò con la divisione Littorio, mentre la Milizia organizzò le proprie truppe in Gruppi di Banderas, corrispondenti ad un reggimento, che parteciparono in modo determinante alla conquista di Malaga tra il 5 ed il 10 febbraio 1937. Purtroppo nel caso della guerra civile spagnola le federazioni del P.N.F. non avevano effettuato una selezione adeguata dei volontari come era avvenuto per l’Africa, contando sul numero piuttosto che sulle capacità militari.
Ciò si vide nella battaglia di Guadalajara del Marzo 1937. Vale la pena di esporre, sia pure in maniera succinta, l’andamento della battaglia, perché spesso l’esito dello scontro è stato utilizzato per criticare le capacità militari della Milizia. All’offensiva su Guadalajara presero parte tre divisioni di CC.NN. oltre alla Littorio formata da personale dell’Esercito:
1a divisione Volontari Dio lo vuole (CC.NN.): gen. Rossi
2a° divisione Volontari Fiamme nere (CC.NN.): gen. Coppi
3a divisione Volontari Penne Nere (CC.NN.): gen. Nuvoloni
4a divisione Volontari del Littorio (Esercito) gen. Bergonzoli
ad esse andava aggiunto il Raggruppamento Banderas 23 Marzo (CC.NN.) del Console Francisci[1].
La mattina dell’otto marzo, sotto una bufera di nevischio[2], e malgrado il mancato appoggio delle forze nazionaliste sullo Jarama, il C.T.V. attaccò i repubblicani, senza ottenere l’auspicato sfondamento immediato, e respingendo indietro lentamente il nemico, sino ad arrivare all’occupazione di trentacinque- quaranta km per un’ampiezza di fronte di 20, più di quanto i franchisti avessero sino ad allora ottenuto sul fronte di Madrid. All’inizio della battaglia erano presenti la 12a Division de Infanteria (brigate 49a, 48a, 50a, 71a, 72a), battaglioni Espartacus, Mangada, Pi y Margall, Teruel, un battaglione d’artiglieria, mezza compagnia di carri sovietici T26B ed una compagnia di cavalleria. L’undici si ebbe una stasi delle operazioni, dovuta alla sempre crescente resistenza repubblicana, dovuta all’afflusso al fronte le proprie unità migliori, le Brigadas Internaccionales, oltre alla brigata Campesinos, alla Brigada de Carros de Combate Pavlov (sovietica, su cinque compagnie di carri T26 B),
La stasi permise ai repubblicani di far affluire da Madrid nei giorni seguenti numerosi reparti che, assieme a quelli già giunti, che attaccarono il diciannove marzo. Si trattava di sei brigate di fanteria (9a, 35a, 65a, arrivate l’11 marzo, la 33a arrivata il 13; il giorno dopo giunse anche la Brigada de Choque, cui il sedici si aggiunse anche la 70a) due battaglioni della 6a e della 7a Division, i battaglioni comunisti Barceno, Huelva, Goya e Joventud, un reggimento indipendente di fanteria, un battaglione e tre compagnie di cavalleria, due battaglioni mitraglieri, uno del genio ed tre d’artiglieria. Le linee italiane ressero bene l’urto della XI ( Battaglioni Thaelmann (tedeschi), Commune de Paris (francesi), Edgar Andre (tedeschi)) e della XII Brigata internazionale(Battaglioni Garibaldi (italiani), Dombrowski (polacchi), André Marti (francesi e belgi)) e della brigata del Campesino, malgrado la presenza di corazzati sovietici, tranne nel settore di Brihuega, tenuto dalla 1a divisione volontari Dio lo vuole, dove le CC.NN. del 1° Gruppo Banderas, non abbastanza armate e prive di un addestramento adeguato, cedettero ripiegando davanti ai T26 di Pavlov, senza riuscirsi a riorganizzare sulle posizioni retrostanti, anche per il panico seguito alla morte del comandante, ten. col. Frezza.
Il colonnello C. Salvi, comandante del 2° Gruppo Banderas, di propria iniziativa riuscì a chiudere la falla nel settore del 1° Gruppo, e la situazione sembrò ristabilita, tanto più che l’attacco repubblicano era andato scemando d’intensità per arrestarsi alle 19.00. Ma il comandante della Dio lo vuole, Rossi, alle 19.15 comunicò d’aver ordinato alla propria divisione la ritirata, il che costrinse il gen. Roatta, comandante del C.T.V. a dare l’ordine di arretramento sulla seconda posizione (linea Cogolludo- Ledanca- Masegoso) tutte le divisioni. Qui si ebbero ingorghi dovuti allo scavalcamento tra la 1a divisione e reparti della Penne Nere, che permisero agli aerei repubblicani (l’aviazione legionaria e quella nazionalista erano impossibilitate a volare per le condizioni dei campi di fortuna come Talavera, a differenza di quelli di Madrid, asfaltati) di distruggere molti automezzi. Il giorno dopo tuttavia i brigatisti, provati dalle perdite (a Palacio Ibarra i tedeschi del battaglione Thaelmann erano stati annientati totalmente dalla Littorio[3]) non tornarono all’attacco consentendo ai legionari di rafforzarsi sulle posizioni arretrate.
I rojos tornarono all’attacco il 21 ed il 22 con violenti attacchi respinti dagli italiani; ciò portò il governo repubblicano a porre termine alla controffensiva, e le linee si stabilizzarono. Al termine della battaglia di Guadalajara gli italiani, pur avendo fallito l’obbiettivo di raggiungere l’omonima cittadina, erano rimasti padroni di venticinque dei trentacinque chilometri occupati nei primi tre giorni, infliggendo all’avversario quasi il quadruplo delle perdite subite. Gli italiani persero 415 morti (543 compresi i dispersi), 1969 feriti e 153 prigionieri; i repubblicani persero 2.200 morti, 4000 feriti e 400 prigionieri[4].
In sintesi, la battaglia può essere divisa in tre fasi.
- Offensiva italiana e suo arresto per l’irrigidimento della difesa repubblicana,
- Controffensiva repubblicana e ripiegamento del C.T.V. sulla seconda posizione;
- Arresto della controffensiva repubblicana e successo difensivo del C.T.V.[5].
La disfatta, la batosta dei fascisti che secondo Hemingway erano fuggiti con le scarpe in mano per far prima non esiste se non nella propaganda antifascista dell’epoca[6].
Gli italiani restarono padroni di buona parte del campo di battaglia, fermando forze molto superiori di numero, ma ciò non può far dimenticare che non sfondarono, malgrado la propaganda fatta dopo la presa di Malaga, e ciò permise alla stampa antifascista di inventare una sconfitta che non ci fu. Come scrive Renzo De Felice, Guadalajara sotto il profilo meramente militare (…) non ebbe niente di drammatico[7] . Se alcune unità della Milizia si erano battute molto bene, altre, quelle del 1° Gruppo Banderas, erano fuggite di fronte ai carri sovietici. Se i comandi nazionale e italiano cercarono di porre rimedio alle carenze emerse a Guadalajara, nei comandi e tra le truppe repubblicane si diffuse un’euforia quanto meno eccessiva, in un’orgia di retorica e di esagerazioni circa la sconfitta del Fascismo e di Mussolini: senza riflettere però che truppe inferiori di numero, male amalgamate, con divise di tela coloniale sotto il nevischio, con un armamento inferiore[8], senza copertura aerea, con le latas de sardinas, i CV 33 e 35[9], contro i carri BT.5 e T26B di Pavlov, erano avanzate all’inizio come il proverbiale coltello nel burro per oltre quaranta chilometri, travolgendo tutti i reparti che si erano trovati davanti, e che, contrattaccate da forze cinque volte superiori, meglio armate, mitragliate e bombardate dai Chato e dai Polikarpov senza poter avere appoggio dai propri aerei avevano sì ceduto davanti ai carri sovietici, ma erano state comunque in grado di raggrupparsi, fare muro e respingere i repubblicani, restando in possesso di 20- 25 dei 40 km conquistati, infliggendo al nemico perdite tre volte e mezzo superiori alle proprie.
Non si tenne presente che i maggiori problemi agli italiani non li avevano creati i combattenti repubblicani, ma il maltempo, gli errori di comando e la disorganizzazione, che aveva portato agli ingorghi sulla Carretera di Francia durante lo scavalcamento, subendo quindi gli attacchi dell’aviazione avversaria, che, con i corazzati, era quella che aveva inflitto le maggiori perdite agli italiani in uomini e mezzi. Se si tiene presente la gravità dei danni inferti dai piloti rossi, si vede come la proporzione tra le perdite italiane e repubblicane durante gli scontri (spesso alla baionetta, come a Palacio de Ibarra e Brihuega) vada ancor più a favore del C.T.V. Si erano evidenziate carenze di preparazione nei quadri subalterni degli ufficiali della Milizia, si trattava spesso di ex ufficiali di complemento (spesso reduci della Guerra Mondiale) che dopo il congedo non avevano ricevuto né aggiornamenti né addestramento all’uso delle armi moderne. Ma le colpe più gravi ricadevano sul comandante di divisione che si era fatto prendere dal panico ordinando il ripiegamento; va ricordato che si trattava di un generale dell’Esercito e non della Milizia.
Ciò portò il nuovo comandante del C.T.V. Ettore Bastico e l’ispettore Luogotenente Generale Achille Teruzzi, giunto appositamente da Roma, a far rimpatriare buona parte dei volontari che si erano dimostrati non all’altezza, quali quelli arruolatisi per il premio d’ingaggio. I rimpatri degli elementi meno affidabili diedero luogo ad un ridimensionamento e parallelamente ad un rafforzamento dello spirito combattivo delle Camicie Nere, che ebbe modo di manifestarsi durante la campagna per la conquista della Vizcaya, nell’assedio di Teruel e nella presa di Bilbao il 19 maggio. Ad agosto il C.T.V. riportò un ulteriore successo conquistando la città di Santander[10], e in seguito contenendo e poi respingendo l’offensiva repubblicana in Aragona.
In seguito ad accordi internazionali riguardo il ritiro dei volontari, il governo italiano decise nel 1937 una riduzione della presenza italiana in terra spagnola, creando unità miste ispano- italiane, oltre alla 23 Marzo ed alla Littorio, interamente italiane. Le Camicie Nere ora erano inquadrate in brigate miste, le Flechas, addestrando ed equipaggiando gli spagnoli: Frecce Nere e Frecce Azzurre (dai colori del Fascismo e della Falange), poi fuse nella divisione Frecce. La 23 Marzo e la brigata mista Frecce Azzurre si comportarono molto bene nelle operazioni nella zona di Valencia. Il 1 ottobre 1938 Franco decretò il congedo dei legionari con oltre diciotto mesi di servizio; ciò permise a Mussolini un ulteriore riduzione del C.T.V., anche in cambio del riconoscimento inglese dell’impero in Etiopia, ritirando diecimila volontari. Le divisioni interamente italiane si ridussero alla sola Littorio d’Assalto, nata dalla fusione tra la vecchia Littorio e la 23 Marzo, su due reggimenti fanteria, il primo dell’Esercito ed il secondo della Milizia[11]; con le Frecce vennero create le nuove divisioni miste, ma con armamento e comando italiani, Frecce Azzurre e Frecce Verdi che s’aggiunsero alla Frecce Nere. Il C.T.V. ebbe modo di essere la migliore unità nazionalista nelle battaglie di Catalogna conquistando Badalona e Gerona e nell’offensiva finale da Toledo, quando i legionari conquistarono il porto di Alicante il 30 marzo 1939, segnando la fine della guerra.
La guerra civile era costata cara all’Italia in termini di perdite: Caduti: 272 ufficiali (105 della M.V.S.N.), 2764 sottufficiali e soldati (1357 della Milizia), Feriti: 981 ufficiali (399 della M.V.S.N.), 10.205 sottufficiali e soldati (5200 della Milizia). Dispersi: 9 ufficiali (4 della M.V.S.N.), 272 militari deceduti per malattia e incidenti vari. A ciò vanno aggiunte le ingenti perdite di materiale che depauperarono il già scarso potenziale bellico italiano alla vigilia della seconda Guerra Mondiale, quantificabili in 14 miliardi di lire dell’epoca[12].
Pierluigi Romeo di Colloredo Mels
NOTE
[1] Il futuro Luogotenente Generale Francisci comanderà in Russia il Raggruppamento 23 Marzo, omonimo di quello che combatté in Spagna (gruppi battaglioni CC.NN. M Leonessa e Valle Scrivia). Sarà l’unico generale italiano a cadere in Sicilia nel luglio del 1943, ricevendo la Medaglia d’Oro alla Memoria.
[2] Gli italiani malgrado la temperatura sotto lo zero indossavano le uniformi coloniali!
[3] Dopo lo scontro di Palacio Ibarra con la Littorio il Thaelmann aveva perso ogni possibilità operativa: quando giunse l’ordine d’attaccare la risposta fu: Impossibile! Il battaglione Thaelmann è stato distrutto! (AAVV, The Third Reich. Iron Fists, New York 1988, p.155). Per alzare il morale dei legionari, Bergonzoli (che si guadagnò il soprannome di Barba Elettrica proprio a Guadalajara, dove combatté in prima linea armato di moschetto) ordinò alla fanfara di suonare durante il combattimento la Marcia Reale e Giovinezza.
[4] A. Rovighi, F. Stefani, La partecipazione Italiana alla guerra civile spagnola (1936- 1939), I, Roma 1992, p.313.
[5] P. Romeo di Colloredo, Guadalajara 1937. La sconfitta che non ci fu, Genova 2017 2a.
[6] Il romanziere americano arrivò addirittura ad affermare nientemeno che Guadalajara era una tra le battaglie decisive della storia dell’umanità!
[7] R. De Felice, Mussolini il duce. II Lo Stato totalitario 1936- 1940, Torino 1981, p.391-2.
[8] Bastico, in un rapporto confidenziale a Ciano all’indomani della battaglia, parlerà di armamento deficientissimo: cfr. Rovighi, Stefani, 1993, I bis, documento n. 79/ A, p. 371.
[9] Il CV 35 (Carro leggero L3/35) prodotto dalla Ansaldo Fossati, era armato con due mitragliatrici da 8mm (ma a Guadalajara erano presenti ancora alcuni CV33 con mitragliatrici Fiat mod. Aviazione da 6,5mm), con una corazzatura max di 13,5, e raggiungeva una velocità su strada di 42 km/h. In Spagna erano presenti anche in CV35 in versione lanciafiamme
[10] Vi presero parte le divisioni Fiamme Nere (Frusci), 23 Marzo (Francisci), Littorio d’Assalto (Bergonzoli), il Raggruppamento Artiglieria del C.T.V. ed unità minori e logistiche. Le Camicie Nere si distinsero particolarmente nella presa del Puerto de Escudo.
[11] 2° regg. Fanteria Littorio (ten.col. F. Olivetti): 4 battaglioni (Ardente, Inflessibile, Lupi, Vampa); 1 batteria da 65/17, plotone carri CV35; plotone artieri.
[12] In Spagna combatterono complessivamente 29.000 Camicie Nere; nel corso del conflitto la M.V.S.N. meritò le seguenti decorazioni:
4 ordini militari di Savoia;
33 Medaglie d’Oro al Valor Militare;
426 Medaglie d’Argento al Valor Militare;
532 Medaglie di Bronzo al Valor Militare;
1745 Croci di Guerra al Valor Militare (De Vecchi, Lucas 1976, p.150).
(Leggi QUI il primo capitolo)
2 comments
Onore ai Caduti !
[…] tra “buoni” e “cattivi”. Combattuta tra il 1936 e il 1939, fu un conflitto nel quale il sostegno di Mussolini a Franco fu decisivo. Il regime fascista mandò infatti aerei, navi, armi e circa 80.000 soldati, […]