Il riferimento è a Melissa Satta, che durante la trasmissione televisiva “Tiki Taka” aveva confermato i malumori della squadra rossonera: “Al Milan non c’era tranquillità, Brocchi è un grande uomo. Con lui ci sarà serenità”. La showgirl non stava facendo una sua valutazione: compagna del rossonero Kevin-Prince Boateng, stava evidentemente riportando degli umori dallo spogliatoio. Umori che, tuttavia, è lì che dovevano stare: nello spogliatoio. Concetto difficile da capire, per i fan di un calcio panottico e rieducato, in cui tutto deve essere portato alla luce e tutto deve essere giudicato secondo i canoni del moralismo universale. Anche ai tempi della querelle Sarri-Mancini, molto più del presunto “insulto omofobo” del tecnico del Napoli, ciò che indignò gli opinionisti fu quel “sono cose di campo” detto dal mister per giustificarsi. La decostruzione del calcio – che è un potente vettore simbolico, ben al di là della prosaicità dei risultati e delle passioni da tifoso – passa esattamente per la lotta a questa dimensione di segreto che circonda e deve circondare il campo e lo spogliatoio.
Ma che esistano luoghi e dimensioni che si sottraggono alla nostra voglia di vedere e giudicare è cosa ritenuta insopportabile, oggi. Ecco perché la Satta che spiattella i segreti dello spogliatoio è in fase con il suo tempo mentre Mihajlovic passa per reprobo. Eppure, se il calcio ha un senso, Mihajlovic ha ragione e la Satta ha torto. E, parlando, la showgirl ha dato ragione al tecnico, che le ha intimato di non parlare. Il calcio, o quel che ne resta, è una comunità virile. L’espressione è forte, ma va intesa in senso sociologico, non “valoriale”: non è che i calciatori siano dei guerrieri (spesso sono più conformisti della media, se è per questo), è solo che questo sport sviluppa determinate dinamiche relazionali. La donna ne è naturalmente esclusa, come lo sono le mamme durante gli allenamenti delle giovanili (dove, tuttavia, crescente è l’invadenza dell’elemento materno, con i risultati che sappiamo).
Lo spogliatoio è il luogo in cui un ragazzino impara a stare con i suoi coetanei, a badare a se stesso, a rispettare delle regole di gruppo, a gestirsi da solo, a prendersi delle responsabilità. Ne sono bandite le mamme, le fidanzate, le mogli, le figlie. E anche sugli spalti, è solo nella retorica alla Varriale che il calcio diventa un elemento “per famiglie”, laddove invece esso è il territorio della filiazione maschile, del padre che insegna una passione al figlio, degli uomini che si comportano da uomini, in senso sia alto che basso. Non è misoginia d’accatto, è solo che le donne hanno modalità relazionali e simboliche differenti. Ma dire questo è già blasfemo, in un mondo in cui tutto vale tutto, tutto è per tutti, tutti possono andare dappertutto, tutti parlano di tutto e alla fine tutto non vale più niente.
Adriano Scianca
2 comments
Splendido!
Tutti hanno facoltà di parola, solo che sono pochi coloro che hanno veramente qualcosa da dire. La maggioranza emette fiato o grugniti dalla bocca, mentre alcune donne, più fortunate, esibiscono solo belle gambe.