Roma, 7 gen – Se n’è andato uno degli studiosi più brillanti, ma anche più faziosi, dell’opera di Ezra Pound. Parliamo di Piero Sanavio, scrittore padovano e docente universitario morto nei giorni scorsi a Roma, dopo una lunga malattia, all’età di 89 anni. Nato a Padova il 1° gennaio 1930, in una famiglia antifascista, Sanavio si laureò in letteratura all’Università Cà Foscari di Venezia, con una tesi pioneristica sulle fonti italiane dei Cantos di Pound e si specializzò all’Università di Harvard: da qui, a più riprese, si recò a Washington per incontrare Pound, all’epoca nel manicomio di St. Elizabeth’s. Del poeta americano disse: «La quasi totalità della poesia che oggi si scrive in Occidente deriva, al suo meglio, dai Cantos: e che poetucoli italiani di grande reputazione, con fama di avanguardisti e sperimentatori, altro non sono in realtà che pallidi, pedanti imitatori». Un tributo a tutto tondo, condito di osservazioni illuminanti, che tuttavia si offuscavano non appena entrava in gioco l’attività extra-poetica di Pound.
Sanavio ha criticato la pretesa di estrarre, dagli scritti di Pound, un sistema economico logico e strutturato. Come invece ritenevano – scrisse nel suo Ezra Pound: bellum perenne – «alcuni fantasmi di Salò che da anni tentano di impossessarsi del poeta inventando un suo sistema politico-economico la cui geometrica esistenza darebbe dignità a ignominiose esperienze politiche». Il riferimento era probabilmente a Giano Accame, che la divisa dei combattenti della Rsi l’ha indossata, sia pur per un giorno soltanto. Il suo saggio Ezra Pound economista, tuttavia, ha raccolto consensi che travalicano ampiamente il mondo del neofascismo: pensiamo a Massimo Bacigalupo, per il quale sulle tesi monetarie di Pound «un po’ di chiarezza l’ha fatta Giano Accame nel suo prezioso Ezra Pound economista». O a Tim Redman che lo ha definito un libro «importante», che presenta qualche «contributo originale alla nostra comprensione di Pound». O ancora a Caterina Ricciardi, che ha parlato dell’«ottimo Accame». O, infine, alla stessa Mary de Rachewiltz, che intervenne alla conferenza di presentazione del saggio avvenuta il 21 marzo 1996 presso la facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Trento, nella quale spiegava che è «un onore sedere allo stesso tavolo dell’autore che ha scritto un libro necessario».
Ma la cosa curiosa è che più avanti nel suo saggio è proprio Sanavio a parlare esplicitamente di Accame, definendo contraddittoriamente il suo lavoro «più che meritorio», pur attaccando la «testarda volontà dell’autore di sostenere l’esistenza di un coerente “sistema economico Ezra Pound” e ridurre il poeta a una sorta di Keynes del Pnf». Resta quindi da capire che siano quei «fantasmi di Salò». L’indiscussa competenza letteraria di Sanavio veniva del resto meno in campo economico, come quando l’autore liquidò l’economista eretico Silvio Gesell, molto amato da Pound, come «sindaco della cittadina di Wörgl, in Tirolo», confondendo il teorico della moneta prescrittibile con Michael Unterguggenberger, il borgomastro tirolese che l’invenzione di Gesell cercò di metterla in pratica nel 1932. O forse non di svista dobbiamo parlare, dato che l’errore viene ripetuto anche nella – altrettanto urticante – introduzione di Sanavio ai Radiodiscorsi (Edizione del Girasole, Ravenna 1998), dove prendendosela con la «insanabile ignoranza» degli interpreti di destra del pensiero poundiano e facendo le pulci a chi riporta «fatti mai esistiti» sulla vita del poeta, definisce ancora una volta Silvio Gesell «sindaco di Wörgl».
Non è l’unico scivolone che si incontra nella sue pagine. Citando il punto 15 del Manifesto di Verona della Rsi, in cui si affermava «Quello della casa non è soltanto un diritto di proprietà, è un diritto alla proprietà», citato più volte nei Cantos, Sanavio chiosava: «Sono chiare le implicazioni che il poeta vedeva in questa frase che leggeva in chiave anticollettivista […]. Il discorso, però, più che diretto al piccolo proprietario, come poteva pensare il poeta, era in realtà un segnale per i grandi poteri finanziari e la grande industria: a rassicurarli che, a dispetto della estesa propaganda di riforme sociali di cui Salò si paludava, tutto sarebbe rimasto immutato». In realtà il Manifesto di Verona intendeva semplicemente chiarire la sua intenzione di tutelare non la proprietà consolidata ma anche l’accesso a essa di chi ne fosse sprovvisto: cosa c’entri l’anticollettivismo non è dato sapere, né è chiaro come “i grandi poteri finanziari e la grande industria” potessero trarre segnali rassicuranti dalla formulazione di un diritto “alla” proprietà. Misteri dell’esegesi politicamente corretta…
I pregiudizi ideologici con cui Sanavio infarciva le sue analisi toccavano a volte abissi di rara acredine. Come quando parlava di un Mussolini «inquartato d’adipe» e «corto di fiato», sprezzantemente definito «maestro di scuola di Predappio», che spadroneggia «forte della sua volgarità di ex giornalista». Ma il disprezzo per giornalisti e professori non è un tratto saliente della becera incoltura reazionaria? Per dare l’idea del tono castale, oligarchico, snob della critica di Sanavio al fascismo, del resto, si tenga presente questa chiosa posta in nota, in cui il movimento delle camicie nere viene definito «una specie di rivoluzione sessuale – bifolchi che si mettevano in camicia nera sperando di andare a letto con le contesse», secondo quanto confidato all’autore da un anonimo «aristocratico patavino». Cosa aspettarsi, del resto, da un autore capace di chiedersi se il popolo italiano sia «popolo veramente e non piuttosto, come oggi pare più legittimo chiamarlo, dopo vent’anni di fascismo e cinquant’anni di omelie e populismi, plebe»? Un aspetto su cui il Pound amante del popolo minuto e delle tradizioni contadine italiche, nemico giurato degli snob e dei salotti, sarebbe stato quanto mai utile al suo critico e amico.
Adriano Scianca