Roma, 30 gen – L’invasione è alle porte. E ancora una volta a farne le spese saranno gli italiani. La produzione di olio di oliva nazionale è ai minimi storici, lo segnalano le ultime elaborazioni dell’Ismea (l’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare) che rileva come l’ammontare complessivo di olio nazionale per il 2018 è stato pari a 185mila tonnellate. Una mazzata pari al 57 per cento in meno rispetto ai valori del 2017, quando la produzione toccò le 428mila tonnellate. Praticamente una delle peggiori annate di sempre per l’olivicoltura nazionale. Un risultato inferiore rispetto a quelli già pessimistici di cui si parlava nei mesi scorsi. In particolare, sono state le Regioni del Mezzogiorno ad accusare le perdite maggiori, con la Puglia, che da sola rappresenta circa la metà della produzione nazionale, colpita da una flessione stimabile attorno al 65 per cento. La causa? Le gelate e i problemi fitosanitari che hanno colpito gli uliveti.
La prima ripercussione per i consumatori sarà quella di trovare ben poco olio nazionale in vendita, e a prezzi inevitabilmente più elevati. Mentre il ricorso a olive Ue e extra Ue sarà ancora più massiccio. Un altro indicatore della produzione davvero a livelli minimi arriva dalla guida, appena pubblicata, Terre d’olio 2018 edita da Maestrod’olio Editore e a firma Fausto Borella: rispetto allo scorso anno, le aziende recensite in quella che è puntuale localizzazione dell’eccellenza olearia nel Belpaese passano da 160 a 111. La spiegazione? Non hanno raccolto quantità sufficienti di olive per sviluppare un apprezzabile quantità olio extravergine di altissimo livello.
Poco olio italiano, e più caro
“Negli ultimi sei anni – sottolinea l’Ismea – è già la terza volta che le campagne di “scarica” si presentano con flessioni produttive che vanno oltre la fisiologica alternanza, a causa della frequenza con cui si manifestano eventi meteorologici avversi. I riflessi sul mercato della scarsità di prodotto non hanno tardato a manifestarsi. I listini dell’extra vergine hanno raggiunto, infatti, a dicembre i 5,60 euro al kg (+40 per cento rispetto a giugno), con valori superiori ai 7 euro al chilo in Sicilia e vicini ai 6 euro nel Barese”. Quella dei prezzi è una battaglia aperta che sta penalizzando i produttori italiani, la cui qualità è alta. Questo a causa anche dell’elevata campagna produttiva spagnola che viaggia su 1,6 milioni di tonnellate (+24 per cento sul 2017). Picchi di rese che contribuiscono ad abbassare i prezzi del mercato e condizionare anche le produzioni greche e tunisine, previste in calo di oltre il 30 per cento.
Altro che autarchia. Altro che autosufficienza. Anche in questo importante comparto, peraltro da sempre legato alla nostra terra, l’Italia segna il passo non riuscendo a far decollare le sue produzioni nonostante una richiesta importante anche dalla Cina. E l’ennesima invasione, stavolta sugli scaffali e le nostre tavole, è tracciata. Bene conoscere, però, che un olio di olive extravergine non può costare 4 o 5 euro al litro, come ben sa chi è a contatto con la terra. Il trucco c’è, ma non si vede. Come del resto per i tanti prodotti che giungono a prezzi irrisori da altre parti del mondo.
Fabrizio Vincenti
8 comments
[…] Il trucco c’è, ma non si vede. Come del resto per i tanti prodotti che giungono a prezzi irrisori da altre parti del mondo. Fonte: IL PRIMATO NAZIONALE […]
Ho capito ,ma se l’olio non c’è , tocca pure farsene una ragione e comprare da fuori….. Cosa vogliamo fare , cambiare la cucina Italia e usare burro o oli sintetici o oli di mais e altri semi di mexda pur di non farci ” invadere” dall’olio straniero? ….. Argomento è lungo e complesso ( a partire dall’originario del territorio italiano che non permette impianti iper intensivi di produzione come in altre parti del mondo…. Ma appunto discorso è lungo)…..
Il discorso sulla crisi di produzione dell’olio italiano è piuttosto ampio e variegato. Molte le responsabilità soprattutto istituzionali che accecate da una furia pseudo ambientalista, impediscono almeno qua in Umbria, di poter valorizzare attrezzandoli i piccoli appezzamenti collinari di terreno. L’oro verde umbro, x 80 x cento è prodotto da hobbisti, a cui la Regione fa una guerra spietata. Con il conseguente abbandono del territorio e la dismissione di una pratica millenaria: il governo del territorio. Poi pregiudizi a base stregonesca nei confronti della scienza e Delle tecnologie. Pratiche di coltivazione ancora su base tradizionale senza avere le minime conoscenze su cosa è l’olio e la pianta che lo produce.
Quello in foto è il mio separatore 🙂
Foto scattata nel mio frantoio in Sicilia durante l’ultima campagna olearia 😉
[…] QUI L’ARTICOLO DEL PRIMATO NAZIONALE […]
[…] Più modeste, inevitabilmente, le percentuali di dop, igp, doc e docg. Se si guarda al più prosaico dato sulle vendite, il quadro non cambia: i prodotti con la bandiera nazionale, tanto per dire, rappresentano il 13,9 per cento del totale, quelli con la scritta “100% italiano” il 7,7. E l’accentuazione dell’italianità dei prodotti passa anche dal rimarcare la provenienza regionale. In questo senso, la palma dei prodotti più identitari va all’Alto Adige: è la regione con il maggior numero di prodotti che riportano la provenienza ma anche con più vendite: ben 327 milioni di euro. A tirare sono vini, latticini, speck e mele. Inseguono la Toscana, con 317 milioni di vendite con vino e affettati a far la parte del leone, e la Sicilia, con 246 milioni di fatturato che derivano in primis da vino, yogurt e gelati. In generale, le vendite sono in crescita, con un vero e proprio boom dei prodotti pugliesi: unica eccezione negativa per i prodotti lombardi. Numeri che stonano con i dati provenienti dal settore oleario, dove invece la produzione nazionale non riesce a soddisfare la domanda. […]
[…] Più modeste, inevitabilmente, le percentuali di dop, igp, doc e docg. Se si guarda al più prosaico dato sulle vendite, il quadro non cambia: i prodotti con la bandiera nazionale, tanto per dire, rappresentano il 13,9 per cento del totale, quelli con la scritta “100% italiano” il 7,7. E l’accentuazione dell’italianità dei prodotti passa anche dal rimarcare la provenienza regionale. In questo senso, la palma dei prodotti più identitari va all’Alto Adige: è la regione con il maggior numero di prodotti che riportano la provenienza ma anche con più vendite: ben 327 milioni di euro. A tirare sono vini, latticini, speck e mele. Inseguono la Toscana, con 317 milioni di vendite con vino e affettati a far la parte del leone, e la Sicilia, con 246 milioni di fatturato che derivano in primis da vino, yogurt e gelati. In generale, le vendite sono in crescita, con un vero e proprio boom dei prodotti pugliesi: unica eccezione negativa per i prodotti lombardi.Numeri che stonano con i dati provenienti dal settore oleario, dove invece la produzione nazionale non riesce a soddisfare la domanda. […]
[…] Più modeste, inevitabilmente, le percentuali di dop, igp, doc e docg. Se si guarda al più prosaico dato sulle vendite, il quadro non cambia: i prodotti con la bandiera nazionale, tanto per dire, rappresentano il 13,9 per cento del totale, quelli con la scritta “100% italiano” il 7,7. E l’accentuazione dell’italianità dei prodotti passa anche dal rimarcare la provenienza regionale. In questo senso, la palma dei prodotti più identitari va all’Alto Adige: è la regione con il maggior numero di prodotti che riportano la provenienza ma anche con più vendite: ben 327 milioni di euro. A tirare sono vini, latticini, speck e mele. Inseguono la Toscana, con 317 milioni di vendite con vino e affettati a far la parte del leone, e la Sicilia, con 246 milioni di fatturato che derivano in primis da vino, yogurt e gelati. In generale, le vendite sono in crescita, con un vero e proprio boom dei prodotti pugliesi: unica eccezione negativa per i prodotti lombardi. Numeri che stonano con i dati provenienti dal settore oleario, dove invece la produzione nazionale non riesce a soddisfare la domanda. […]