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Paolo Savona e l'equivoco degli "Stati Uniti d'Europa"

by La Redazione
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Roma, 17 set – Paolo Savona è assurto a grande notorietà pubblica per i suoi interventi nel dibattito sulla politica economica e per i suoi libri divulgativi di grande diffusione, come L’Europa dai piedi d’argilla, Che cos’è l’economia, Eresie, esorcismi e scelte per uscire dalla crisi, Il caso Italia, fino all’autobiografico Come un incubo e come un sogno: memoralia e moralia di mezzo secolo, uscito quest’anno. La proposta, da lui varie volte reiterata, della necessità di un “piano B” per l’Italia, ovvero di un concreto progetto di uscita rapida dall’Eurozona in caso di crisi della moneta unica, nonché il suo approccio raziocinante e realistico rispetto all’ottuso fanatismo della propaganda europeista che domina l’informazione, ha ingenerato nell’opinione pubblica il macroscopico equivoco di un Savona sovranista o antieuropeista: niente di più lontano dalla realtà.
Savona ha criticato il processo di unificazione europea, come concretamente realizzatosi da Maastricht in poi, non in quanto sostenitore dello Stato-Nazione sovrano, ma in quanto tale processo si è caratterizzato per le politiche di austerità imposte dal Patto di stabilità e crescita e dal Fiscal Compact e per una scarsa attenzione ai temi della crescita e dell’occupazione. Savona, al contrario, auspica un vero e proprio governo europeo (in prospettiva gli Stati Uniti d’Europa) dotato di un proprio bilancio e del pieno controllo della leva finanziaria nella politica economica. Anche recentemente Paolo Savona ha dichiarato che “L’Europa è utile al nostro Paese, l’euro è una parte indispensabile. Solo che a mio avviso la costruzione non è perfetta. Possiamo giustificare le imperfezioni del 1992, ma non quelle del 2018, 2019 e cammin facendo”. Ancor più chiaramente, nel documento Una politeia per un’Europa diversa, più forte e più equa, il ministro per gli Affari Europei ha testualmente scritto: “Fatta l’Europa, bisogna fare gli Europei”.
Il 10 luglio 2018 Paolo Savona è intervenuto davanti alle commissioni riunite dei due rami del Parlamento, illustrando “la necessità di decisioni che permettano una stretta connessione tra l’architettura istituzionale e le politiche di stabilità e di crescita, se si vuole che il mercato comune e l’euro sopravvivano sul piano del consenso politico”. Sono state auspicate una “Bce come prestatore di ultima istanza” e “una politica europea degli investimenti”. In concreto, Savona propone all’Unione Europea di consentire all’Italia circa 50 miliardi di nuovi investimenti, pari al nostro eccesso di risparmio inutilizzato sulle partite correnti del commercio estero. Viene da pensare che l’austerità non sia un fine, ma un mezzo per far accettare ulteriori cessioni di sovranità, fatte le quali l’austerità verrà superata. Bisogna rammentare tuttavia che alla luce degli studi sulle “aree valutarie ottimali” (Mundell, Frenkel e altri), l’Eurozona è una c.d. “area valutaria non ottimale”, cioè una zona non compatibile con un’unione monetaria, per motivi macroeconomici, geopolitici e di mercato del lavoro: fatto, peraltro, incontrovertibilmente dimostrato dal suo evidente fallimento. Quindi, dal punto di vista economico, cedere oltre alla sovranità monetaria anche quel che resta della sovranità finanziaria dello Stato, anche solo per ottenere un’attenuazione parziale dei vincoli dell’austerità, continuerebbe ad essere economicamente disastroso.
Politicamente e culturalmente, inoltre, tale soluzione sarebbe addirittura irricevibile, in quanto configurerebbe un’ulteriore cessione di sovranità nazionale – e addirittura, in prospettiva, la liquidazione definitiva della soggettività costituzionale e di diritto internazionale dello Stato – assolutamente non consentita dalla maggior parte delle Costituzioni degli Stati membri dell’UE, oltre che dalla storia, dall’identità, dai sentimenti e dalle aspirazioni dei popoli europei. La Germania, infine, si è avvalsa dell’Eurozona e dei vincoli europei per invertire a proprio beneficio il saldo della propria bilancia commerciale, che da negativo nel 1999 è salito a surplus mai sperimentati prima con l’introduzione dell’Euro. La Germania ha costantemente violato le regole sui surplus commerciali e in definitiva ha costruito l’attuale assetto europeo in modo funzionale alla progressiva liquidazione economica di quello che tutt’ora resta il suo più grande concorrente industriale e manifatturiero nel vecchio Continente: l’Italia.
Ad oggi, pertanto, si può concludere che esistono almeno tre posizioni sul futuro dell’Unione Europea. La prima è quella tedesca, mirante ottusamente alla conservazione dell’attuale status quo. La seconda è quella tendente a un vero governo europeo dell’economia, che allevierebbe in parte gli effetti dell’austerità attualmente in vigore, ma a costo di un sacrificio infinitamente peggiore, quale la prospettiva degli Stati Uniti d’Europa e la perdita definitiva e irreparabile della nostra sovranità nazionale. La terza è la riconquista della sovranità nazionale e delle prerogative costituzionali dello Stato: la sola risposta autenticamente fedele ai valori di libertà, indipendenza e dignità nazionale, che animano i migliori tra gli Italiani dal Risorgimento in poi.
Carlo Altoviti

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