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«Restiamo umani»? Recuperiamo piuttosto il nostro sacro furore

by Carlomanno Adinolfi
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Questo articolo, che sottopone a dura critica lo slogan buonista «restiamo umani», è stato pubblicato sul Primato Nazionale di agosto 2018.

«Restiamo umani». «Siamo tutti esseri umani». «Dov’è finita l’umanità?». Quante volte abbiamo sentito questo ritornello, ripetuto con tono sdegnato come un mantra, come se il solo ripeterlo in continuazione possa riportare le bestie, gli ignoranti, i populisti a più miti consigli? Eppure, l’arroganza con cui queste persone provano a convertire le masse al loro verbo è solo la punta dell’iceberg, l’elemento di gran lunga meno grave della questione. Ad allarmare, a far mettere un netto muro divisorio tra queste persone e noi, dovrebbe invece essere proprio il concetto che essi cercano di predicare. Certo, a un livello più elementare il loro messaggio vorrebbe significare che loro sono esseri umani e noi, o meglio tutto il mondo tranne loro, siamo solo bestie. Ma questo sentimento non ha nulla dell’aristocratico disprezzo che potevano avere Greci o Romani, fieri della loro civiltà, delle loro leggi, dei loro costumi, della loro arte e della loro cultura di fronte ai «barbari», di cui peraltro spesso avevano comunque rispetto.

Il livellamento dell’uomo

E questo ci porta al vero significato, neanche troppo implicito, del loro mantra altezzoso. Ovvero che dobbiamo caratterizzarci non per le nostre qualità, ma solamente come «esseri umani». Perché alla fine è solo così che possiamo davvero essere uguali, spogliandoci di ogni affermazione qualitativa e di qualunque cosa che loro considerano solo un inutile quanto dannoso costrutto sociale, sia esso sesso, etnia, radici, storia, cultura, capacità artistica, per arrivare finalmente alla natura più elementare, cruda e spoglia: essere semplicemente «esseri umani».

Il «buonismo umanitario»
di queste persone
nasconde in realtà
un odio ancestrale
che sfocia nell’etnocidio

Questo livellamento che vuole ridurre l’Uomo solamente a un esemplare biologico della sua specie si nota anche in molti meme da social che, pur nella loro elementarità piuttosto sciocca, non fanno altro che evidenziare questa deriva. È pieno di immagini piuttosto idiote con teschi o scheletri tutti uguali messi in fila e sotto ognuno di essi la specificazione etnica, come a dire «la diversità razziale è solo una tua illusione, in fondo, ma solo in fondo, quando si riduce l’uomo all’osso, alla sua mera struttura meccanica elementare, siamo tutti uguali». O un altro meme piuttosto diffuso con due persone che si baciano visualizzate ai raggi x e di cui, quindi, è visibile solo lo scheletro. Un’immagine bellissima, a detta dei depositari della dottrina umanitaria, perché da essa non si capisce se siano un uomo e una donna oppure due persone dello stesso sesso, e ancor meglio non si capisce di che razza/etnia siano, perché in fondo sono solo «esseri umani che si amano».

A questo punto
è molto meglio quella ferocia
che dall’alba dell’Uomo
ha sempre caratterizzato
la nobiltà ed è stata
l’elemento base
per ogni altezza aristocratica

Al di là dell’ignoranza classica del semicolto arrogante che caratterizza solitamente questa categoria di persone, perché qualunque studioso del campo anche da uno scheletro o semplicemente da un teschio potrebbe capire sesso, etnia ed età del reperto, mandando quindi all’aria anche questa ultima velleità di uguaglianza, anche qui è questa riduzione all’osso – è il caso di dirlo – dell’Uomo a semplice esemplare meccanico di una specie ad essere allarmante. A questo punto, quando si è ridotti neanche al semplice livello biologico – non sia mai che ci si accorga delle evidenti diversità biologiche! – ma addirittura a livello meccanico, non si capisce neanche perché ci si debba vantare di essere differenziati dalle bestie.

La questione morale

Ed ecco allora venire in aiuto la questione morale: per «essere umani» bisogna avere «sentimenti umani». E si entra quindi nel peggiore e più stucchevole vortice di buonismo, moralismo e pietismo tipico di un certo progressismo trinariciuto e fanatico. In sostanza, chi non è «buono» come la Boldrini, è un animale. Ma sorvoliamo ora sul fatto che il «buonismo umanitario» di queste persone nasconde in realtà un odio ancestrale che sfocia nell’etnocidio, nella volontà genocida verso il proprio popolo, nello schiavismo legalizzato e moralizzato, nel sognare un mondo orwelliano fatto di controllo del pensiero, arresti preventivi casa per casa e rieducazioni siberiane di massa. Ammettiamo pure che queste persone siano davvero buone, che siano spinte da reale sentimento di pietà universale che spinge al bene dell’umanità intesa come sopra. Ma anche in questo caso, forse soprattutto in questo caso, si deve rifiutare con forza il bisogno di «essere umani». Se lo scopo ultimo deve essere una sorta di parodia di un Morality Play medievale con un teschio che ci ricorda che davanti alla morte siamo tutti uguali e l’unica cosa che conta è «essere buoni» perché «tutto il resto è vanità», allora è forse meglio essere considerati bestie feroci.

Quella sacra ferocia

Già, molto meglio quella ferocia che fa rabbrividire progressisti e democratici, quella ferocia che va assolutamente riaffermata con orgoglio e senza vergogna alcuna, quella ferocia che dall’alba dell’Uomo ha sempre caratterizzato la nobiltà, che è stata l’elemento base per ogni altezza aristocratica. Quella ferocia del lupo che da sempre è simbolo delle aristocrazie guerriere, quella ferocia distaccata da predatore come quella dell’aquila da sempre simbolo solare della nobiltà più pura.

Ferocia e furore non come fine
ma come base necessaria
per una volontà di potenza
che ha generato
le più grandi civiltà
del nostro mondo

Sicuramente molti rabbrividiranno davanti a questa volontà di riappropriarsi della ferocia come principio cardine, immaginando un ritorno di ere oscure dominate da violenza, sopraffazione e bestialità. Ma premesso che è pur sempre meglio questo che un futuro da gregge che vive in un deserto di valori e azioni, un mondo di appiattimento buonista e di solidarietà in nome della mezza stagione in attesa di essere annientati proprio da chi questa ferocia la conserva, non è certo la pura ferocia animale lo scopo ultimo di questa sacra e doverosa riappropriazione. La ferocia, il furor belli restano ancora impulsi animali che vanno superati, ma non certo in nome di una «umanità» castrante che vuole essere diversa dalla bestialità solo perché spoglia di qualunque impulso, bensì in nome di qualcosa di molto più alto, che questa ferocia possa evocarla per poterla sublimare in quello slancio che faceva gridare a Nietzsche che l’umanità, questa «vecchia più orribile di tutte le vecchie», va superata, che bisogna creare qualcosa al di sopra di sé proprio per non retrocedere alla bestia, quello slancio che spingeva i futuristi a cantare il coraggio, lo schiaffo, il pericolo, la velocità e il fervore degli elementi primordiali come trampolino di lancio per la sfida alle stelle e la febbre delle altezze.

Al di là del bene e del male

Ferocia e furore non come fine ma come base necessaria per una volontà di potenza che ha generato le più grandi civiltà del nostro mondo. L’amore per il conflitto «padre di ogni cosa» che era alla base della visione greca del mondo; il furor di Marte e l’amor di Venere che hanno generato Roma; la furia ispiratrice della caccia selvaggia di Odino che ha spinto i popoli germanici a donare la loro ebrezza primordiale per rinnovare il sangue elleno-romano; quella furia divina e spaventosa che fa dire a Krishna che la compassione di Arjuna è solo «mancanza di purezza», perché – come spiega sempre Nietzsche in Al di là del bene e del male – «un’azione caritatevole non è né buona né cattiva, né morale né immorale, ed anche se è lodata entra nell’elogio una specie di involontario disprezzo ogni volta che la si metta a confronto con un atto che serva agli interessi della Res Publica»; quell’estasi mistico-guerriera che, partendo da tutti questi elementi, sublimò nella cavalleria medievale, che fu il primo arbusto della civiltà europea, nato proprio dai semi del furor indo-ario. Che siano gli altri quindi a «restare umani». Noi abbiamo un dovere di superamento che nasce proprio dal nostro orgoglio di europei, dal nostro aristocratico disprezzo per tutto ciò che è troppo umano, che può vivere solo se siamo saldi nelle nostre radici, nella nostra orgogliosa identità e nel nostro sacro furore. Quando tutto questo si spegnerà, noi moriremo. E a vivere sarà solo il gregge etnocida con il suo pietoso umanitarismo. E questo non può essere il nostro destino, che è e rimarrà sempre una furiosa sfida per conquistare il cielo.

Carlomanno Adinolfi

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