Non a caso, proprio in quel periodo Mussolini aveva detto: «Contro il fascismo si è schierata la Vandea reazionaria di tutta Europa, che si sente battuta in breccia dall’implacabile procedere vittorioso di un regime saturo di giovinezza e di vita, maestro di energia, assertore di sincerità e forza. L’Italia e la Russia sono i due soli (per quanto antitetici) principi di rinnovamento del mondo moderno. O con Mussolini o con Lenin: non c’è altro scampo per la società borghese che ci odia, ma deve ammirarci e soprattutto temerci». Accanto a Spampanato, Riccardo Fiorini fu tra i più accesi sostenitori delle somiglianze tra le due rivoluzioni prevedendo «futuri incontri», in una discussione che, nel corso degli anni, interessò un grande numero di personaggi e posizioni diverse. Molti negarono qualsiasi parentela, ribadendo le differenze spirituali e l’importanza della concezione corporativa avversa a qualsiasi lotta di classe. Altri, come il sindacalista Sergio Panunzio, assunsero una posizione intermedia. Quasi per porre un freno alla cosiddetta “moscofilia”, nel 1933 il PNF promosse una pubblicazione di spiccata impostazione antisovietica: Fascismo e bolscevismo, ad opera di Pietro Sessa.
Ciò non arrestò di un millimetro la volontà di confronto (e scontro) delle migliori intelligenze fasciste: su impulso di Bottai, vennero tradotti numerosi testi di dirigenti sovietici, tra cui Stalin, e di studiosi marxisti, quale la storia del bolscevismo scritta da Arthur Rosenberg (“Storia del bolscevismo da Marx ai nostri giorni”). Contemporaneamente un uomo
Il 1936 aveva visto effettivamente un «piano regolatore» varato dal Duce, con l’intento di lanciare ancora «più avanti» la politica sociale del regime, nel pieno di quell’«accelerazione totalitaria» di cui Berto Ricci fu uno dei simboli migliori. Tutto ciò aveva attirato l’interesse di molti socialisti e comunisti a livello internazionale, come testimonia il famoso “appello ai fratelli in camicia nera”, firmato anche da Togliatti. Suggestioni destinate a spegnersi nel sangue della guerra di Spagna e infine della catastrofe del secondo conflitto mondiale, ma che restano, ancora una volta, quale testimonianza del valore culturale e dell’inesauribile forza della «rivoluzione sociale» autenticamente italiana.
Agostino Nasti