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Sala contro Parisi: a Milano la sfida tra i due candidati intercambiabili

by Emmanuel Raffaele
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4473778_MGTHUMB-INTERNAMilano, 6 giu – Appena il 54,67% degli elettori ha partecipato alle elezioni amministrative nella città di Milano. E’ questo il primo dato che balza all’occhio, se non altro perché risulta essere il dato più basso di sempre per la città meneghina (oltre dieci punti in meno rispetto al 2011), nonché inferiore a quello di Roma (57,21%) e delle altre grandi città italiane, eccezion fatta per Napoli, che con il 54,14% fa leggermente peggio. Un capitolo probabilmente a parte, questo dell’affluenza alle urne, che dovrebbe far riflettere sul perché non attecchisce la retorica del diritto di voto in un paese dove gli ultimi governi non li ha eletti nessuno. Detto questo, il sindaco di Milano si deciderà al ballottaggio. Da una parte Beppe Sala, candidato del centrosinistra che ha raggiunto il 41,7%, dall’altra Stefano Parisi, candidato del centrodestra, che lo ha insidiato fino all’ultimo arrivando, infine, al 40,77%. Fermo appena al 10,05% e quindi fuori da giochi, invece, Gianluca Corrado, candidato del Movimento 5 Stelle dopo la rinuncia di Patrizia Bedori, siciliano a Milano da oltre dieci anni, avvocato, rimasto ben lontano dal risultato di Virginia Raggi che a Roma, sfondando la soglia del 30%, andrà al ballottaggio con grandi possibilità di vincerlo. Una situazione politica del tutto diversa , dunque, rispetto alla capitale, in merito alla quale appare significativa più di ogni altra la riflessione di Matteo Salvini, segretario della Lega Nord, nel corso della notte scorsa: “Berlusconi a Roma ha aiutato la sinistra. Dove la Lega c’è, il centrodestra va al ballottaggio, dove non si seguono le indicazioni della Lega, si guarda indietro e ci si divide, invece, è un disastro”. Parole che non solo confermano la volontà di Salvini di continuare sulla strada del centrodestra, seppur a guida Lega, ma suonano anche contraddittorie nel merito.

A Milano, è vero, si è arrivati al ballottaggio, ma con una candidatura unitaria di indirizzo estremamente moderata, sulla linea di quel “vecchio centrodestra” dal quale Salvini dichiara di volersi allontanare pur avendo appoggiato appieno la scelta di Parisi. E senza contare che, proprio su Milano, il Carroccio perde anche posizioni rispetto al partito del “Cavaliere”, che con il suo 20,22% sfiora il doppiaggio sul 11,76% della Lega e rimane secondo partito in città dopo il Pd con il 28,96%, mentre rimane inesploso il “fenomeno” 5 Stelle, con un 10,39% significativamente seppur lievemente superiore alla stessa percentuale ottenuta dal suo candidato a sindaco. A Roma, per chiudere la parentesi, Giorgia Meloni non è riuscita ad arrivare al ballottaggio, ma ha sicuramente ottenuto un risultato di tutto rispetto e certo non grazie al contributo minimo in termini di voti della lista “Noi con Salvini”, ma esattamente grazie ad una chiusura quanto meno “propagandistica” rispetto al moderatismo ed un indirizzo “sovranista” e “identitario” più marcato. Quindi, perché inseguire ancora Berlusconi? Molto semplice: perché, per puro e miope calcolo elettorale, si insiste a ragionare in prospettiva centrodestra, con buona pace di un sovranismo che, evidentemente, non è la priorità ma semplice strumento di propaganda, così come CasaPound Italia, scegliendo la candidatura indipendente, aveva affermato. La sfida tra vecchio e nuovo centrodestra, insomma, sembra tutt’altro che giunta al termine e, in fondo, non fa che riproporre in chiave diversa la dinamica dei rapporti tra Umberto Bossi e Silvio Berlusconi, senza mai un reale distacco.

Nel frattempo, Milano sembra esser ferma proprio a quel bipolarismo in salsa moderata, così tipico dell’era berlusconiana, maschera di una generale impronta democristiana su entrambi i fronti. Tanto più che oggi, a sfidarsi, erano due personaggi praticamente intercambiabili. Due manager (anche se Parisi si definisce imprenditore), collezionisti di incarichi e poltrone, sponsorizzati dall’alto. Beppe Sala, bocconiano, nonostante abbia tentato di legittimarsi a sinistra con il consueto metodo dell’antifascismo, rimane un borghese che vive in Brera ed ha scalato l’azienda Pirelli giungendone ai vertici, per poi passare a Telecom ed alla finanza con Nomura, prima di esser chiamato addirittura dall’allora sindaco di centrodestra Letizia Moratti a fare il direttore generale del comune di Milano. Nel 2013, nominato dal governo Letta commissario unico di Expo 2015, per il quale è anche amministratore delegato della spa creata ad hoc, si imbarca in quell’enorme flop travestito da successo che è stata l’esposizione universale di Milano (Rho). Perdite che si aggirano intorno ai 30 milioni di euro, inchieste, tornelli deserti e poi code chilometriche ed infinite che Renzi, grande sostenitore di Sala, è riuscito a spacciare per un successo, ed una organizzazione che non è andata oltre la mediocrità, anche in fase di smantellamento. Eppure, a febbraio, dopo aver dato disponibilità pochi mesi prima, conquista il 42% degli elettori alle primarie del centrosinistra e si candida ufficialmente, seppur molti sostengano la sua incandidabilità dovuta ad un vizio di forma in base al quale sarebbe ancora commissario governativo di Expo, carica per l’appunto inconciliabile con quella di sindaco. Si è distinto, peraltro, per alcune dichiarazioni poco trasparenti, dimenticanze sulle sue proprietà fuori dall’Italia e sui ruoli governativi ricoperti negati entrando nel cda della Cassa Depositi e Prestiti. Il lupo perde il pelo, ma non il vizio (di forma). Di lui il premier Matteo Renzi, quando ancora era in discussione la sua candidatura, aveva detto: “darà una mano al Paese qualunque maglia deciderà di mettersi”. L’importante era dargli una poltrona, che in piedi proprio non riesce a stare. Tranne quando passeggia in Brera, cosa che giura di amare molto.

“Sono molto contento di quello che abbiamo fatto perché solo tre mesi fa sembrava che il candidato del centrosinistra vincesse al primo turno”. Questo, invece, è il commento di Stefano Parisi a risultati ancora da definire, quando però è ormai chiaro il testa a testa, dopo un curioso corto circuito post voto. Ad urne chiuse, infatti, gli exit poll cominciano a dare Sala in vantaggio come da pronostico ma, appena i dati reali relativi agli scrutini cominciano a venir fuori dal sito del Ministero dell’Interno, in testa sembra essere a sorpresa proprio il candidato del centrodestra e così è per diverse ore, finché Sala si riprende un leggero vantaggio e conferma la vittoria di misura e, come dicevamo, conferma l’ipotesi ballottaggio. “Romano verace innamorato di Milano“, così Panorama definiva Stefano Parisi, 59 anni, quasi coetaneo del suo “avversario”, nato appunto a Roma, ma nel capoluogo lombardo da circa vent’ anni, quando l’ex sindaco Gabriele Albertini lo nominò segretario comunale. In passato amministratore delegato di Fastweb, fondatore di una società di streaming online, amante degli inglesismi (in campagna elettorale ne ha fatto un uso spropositato, come sottolineava ironicamente lo stesso Panorama elogiando il suo moderatismo), ha cominciato la sua carriera in Cgil, passando poi al Ministero del Lavoro mentre, sul finire degli anni Ottanta, lo ritroviamo a lavoro all’interno della squadra di governo del democristiani De Mita e poi in quella dell’ex ministro socialista De Michelis. Nel 2000, infine, diventa direttore generale di Confindustria. Insomma, un volto nuovo per Milano (!), che pure non ha esitato un momento a chiedere i voti ai “grillini” per il prossimo ballottaggio: “se davvero volete il cambiamento, votate per me”. La faccia come il…cuore.
Delusione per la lista a sostegno di Sala “Sinistra x Milano”, ferma al 3,82%, nonostante l’appello al voto del sindaco uscente Giuliano Pisapia, che aveva deciso di non ricandidarsi nonostante le richieste avanzate da un nutrito gruppo di sostenitori, in rapporti non troppo buoni con i renziani. Mostrano ulteriormente la scarsa consistenza elettorale anche gli alfaniani di Maurizio Lupi, che con la lista “Milano popolare” non superano il 3,13%, mentre Fratelli d’Italia, rientrata in corsa in extremis, prende appena il 2,41%.

Fuori da quelli che sono ormai i tre schieramenti principali, per “Sinistra e Costituzione”, ottiene il 3,55% Basilio Rizzo, presidente del Consiglio comunale sotto la giunta Pisapia, esponente della Federazione della Sinistra, in consiglio dall’83, con un passato in Democrazia Proletaria. L’1,88%, invece, va al radicale Marco Cappato e soltanto l’1,15% a Nicolò Mardegan, candidato per “Il popolo della famiglia” in cui erano confluite anche diverse candidature “identitarie”. Curiosità: nel seggio di via San Gregorio, una militante grillina si è lamentata tanto con il presidente di seggio per la presenza di un crocifisso in aula da costringere la polizia ad intervenire. Secondo la donna, il simbolo “non permetteva la giusta laicità del luogo”. Dunque, che ad uscire vincitore dal ballottaggio sia Sala oppure Parisi, che ieri si è presentato ai giornalisti in tenuta da ciclista prima di andare a votare, Milano non promette niente di nuovo. Lo schema centrodestra/centrosinistra non sembra superato come altrove, poche prospettive sul fronte identitario e, per quanto possa contare, neanche il Movimento 5 Stelle è riuscito a mettere i bastoni tra le ruote ai soliti noti. Se uniamo queste considerazioni al record negativo d’affluenza, viene fuori un ritratto certamente non incoraggiante di Milano, che pure negli ultimi anni si era distinta per una vivibilità crescente che l’avevano portata all’attenzione della stampa internazionale. La novità, invece, è che politicamente non ci sono grosse novità. Da questo punto di vista, probabilmente bloccata da una situazione economica leggermente migliore rispetto al resto della penisola, Milano sembra ferma, incapace di reagire agli stimoli della politica nazionale ed internazionale e di andare oltre un moderatismo soffocante, paradigma di un’Italia che ancora non riesce a buttare a mare realmente “prima e seconda repubblica”.

Emmanuel Raffaele

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Paolo 12 Giugno 2016 - 7:14

I soliti moderati che non faranno e non cambieranno nulla

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