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Sanremo, si canta anche in arabo: ma non era il “Festival della canzone italiana”?

by Chiara Soldani
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Roma, 22 gen – Lo chiamavano “Festival della canzone italiana”. Invece, di italiano, a Sanremo ci sarà ben poco: giusto il minimo necessario per non rivelare (qualora ce ne fosse bisogno), l’intento propagandistico e politico. In una kermesse dove “se le stanno già suonando” (tra provocazioni, invasioni di campo e chiamate pacificatrici fra Baglioni e Salvini) si canterà persino in arabo.

Perché il direttore artistico, nonché sedicente esperto di politiche migratorie, boccia canzoni “troppo sovraniste o scomode” – come “Porte aperte” dei New Trolls e “Caramelle” di Pierdavide Carone e Dear Jack – dando però il benestare a “Soldi”: brano rap di tale Mahmood, infarcito di parole e sound arabeggianti. Mister Baglioni, pian piano, svela la sua lavagna tattica: difesa dello straniero e attacco all’italiano (letteralmente). Alessandro Mahmoud è un rapper 24enne nato a Milano da padre egiziano e madre italiana: e già per questo, a Baglioni e Bisio piace. Il suo brano ripropone il “topos” per antonomasia del rap: la denuncia della povertà e della vita al limite, sul cemento difficile della periferia. E fino a qui, nulla di nuovo: ma nella kermesse (in teoria) italiana, si sentiranno parole come “Ualadì” e “habibi”.

Evidentemente la tattica buonista prevale: troppo spinoso e sconveniente parlare a Sanremo di “italiani che non arrivano a fine mese” o di un tema tristemente attuale come quello della pedofilia. Meglio, quindi, rendere meno italiana la cosiddetta “canzone italiana”. E sempre in linea con la “tattica Baglioni”, in gara correrà anche il brano di Francesco Motta “ Dov’è l’Italia”. È già stato definito “un grido di dolore”, con (manco a dirlo) riferimento ai migranti. “ C’è soprattutto il disincanto verso un Paese che amo e che nonostante tutto continuo ad amare e di cui sono innamorato, ma che manca di umanità e di educazione, e che vive la paura della diversità e del mettersi in gioco”, spiega il cantautore toscano. Che racconta come sia nato il testo: da “una chiacchierata con Enzo, il capitano di un caicco a Lampedusa”. Superfluo chiedere da che parte stia: “La penso come Baglioni. Dovremmo imparare dalla diversità, non averne paura”. I veri protagonisti, quest’anno, non saranno la musica e i fiori sanremesi. Bensì retorica e buonismo: che la faranno da padroni. Un festival che, ancor prima di cominciare, sta già sfoderando le sue armi peggiori.

Chiara Soldani

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giuliano 28 Gennaio 2019 - 11:29

io NON guardo San Remo

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