Roma, 12 apr — Se l’impianto di un solo microchip sottocutaneo finisce per far aggrottare la fronte a chi sta scrivendo, pensate alla faccia che può aver fatto trovandosi di fronte alla notizia di un uomo che se ne è fatti innestare sotto pelle ben 32. Dall’entusiasmo per le nuove scoperte in campo tecnologico alla tecnobulimia nell’arco di 31 operazioni di impianto, è un attimo.

32 microchip sotto la pelle

«Le reazioni che noto alla cassa quando è il momento di pagare non hanno prezzo»: the show must go on per Patrick Paumen, olandese, che è solito pagare alla cassa del supermercato avvicinando la mano al Pos, senza estrarre denaro, né carte di credito. Merito di uno dei 32 chip che si è fatto impiantare sotto la pelle. Oppure apre l’ingresso di casa senza chiavi, sempre accostando la parte della mano in cui è impiantato il chip corrispondente. Un’estensione dell’Internet of things, neologismo utilizzato nel mondo delle telecomunicazioni riferito all’estensione di internet al mondo degli oggetti e dei luoghi concreti. Paumen, 37 anni, è addetto alla sicurezza informatica e si definisce un biohacker ed è finito tra i casi più estremi al mondo di impianto di microchip nel corpo umano.

Collezionali tutti?

«La tecnologia continua a evolversi, quindi continuo a collezionarne di più», un po’ come i Pokemon. E’ lo stesso Paumen a spiegarlo alla Bbc. «Non vorrei vivere senza di loro». C’è chi alleva pappagallini e ci si affeziona, lui ha sviluppato la dipendenza da microchip. E gli inevitabili dubbi per la sicurezza, per la privacy? Nessuna paura: «Gli impianti contengono lo stesso tipo di tecnologia che le persone utilizzano quotidianamente. Dai telecomandi per aprire le porte, alle carte bancarie o quelle per il trasporto pubblico».

Leader del settore nell’industria dei microchip — oltre alla svedese Epicenter di cui avevamo già parlato a proposito degli inquietanti chip con green pass integrato — è l’azienda anglo polacca Walletmor, pioniera nel rendere usufruibili dal grande pubblico gli impianti sottocutanei. Walletmor ha messo in commercio microchip del peso di meno di un grammo e appena più grandi di un chicco di riso. E se in Svezia successo di questi micro-dispositivi è stato talmente stellare che vengono organizzati dei party in cui la gente viene chippata e ha la possibilità di socializzare, da un sondaggio del 2021, condotto su 4mila europei, emerge che il 51% degli intervistati prenderebbe in considerazione l’idea di impiantare un chip sotto pelle.

Cristina Gauri

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Classe 1977, nata nella città dei Mille e cresciuta ai piedi della Val Brembana, dell’identità orobica ha preso il meglio e il peggio. Ex musicista elettronica, ha passato metà della sua vita a fare cazzate negli ambienti malsani delle sottoculture, vera scuola di vita da cui è uscita con la consapevolezza che guarire dall’egemonia culturale della sinistra, soprattutto in ambito giovanile, è un dovere morale, e non cessa mai di ricordarlo quando scrive. Ha fatto uscire due dischi cacofonici e prima di diventare giornalista pubblicista è stata social media manager in tempi assai «pionieri» per un noto quotidiano sabaudo. Scrive di tutto quello che la fa arrabbiare, compresi i tic e le idiozie della sua stessa area politica.

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