Le indagini, condotte dalle forze dell’ordine, portano al fermo di quattordici persone, tre delle quali vanno poi a processo. Sono gli stessi tre individui vista alla cerimonia fascista; la tesi accusatoria è che fossero lì per procurarsi un insospettabile alibi, salvo poi allontanarsi prima della fine, per predisporre l’agguato. I tre, durante il processo, cadono in contraddizioni, e si accusano tra loro; in particolare, ad uno viene addebitata dagli altri la frase: “Se vengono i fascisti, gli faremo una scarica di pietrate”. Riconosciuti colpevoli verranno condannati a pesanti pene detentive. I fascisti denunciano l’accaduto con un manifesto nel quale non possono non sottolinearne la “originalità” (e sì che allora ne accadevano di tutti i colori !) dell’accaduto: “Non è in buona fede e non ha retta coscienza chi non sa o non vuole riconoscere l’assalto di una nuova specie che il nemico ci ha mosso. Abbiamo resistito e resistiamo ancora, serenamente e senza tentennare, pensando che il martirio varrà un giorno ad illuminare la nostra azione e a conquistare i ciechi e gli increduli”.
I loro avversari, secondo una tecnica già in uso all’epoca e destinata ad avere grande successo anche nei decenni seguenti, cercheranno di avvalorare la tesi che l’attentato fosse stato organizzato dallo stesso Scorza (il quale era –e questa è l’incongruenza- a bordo del camion bersagliato dai massi e finito fuori strada) per crescere d’importanza all’interno del movimento fascista. Si tratta di un disperato tentativo di sminuire portata e rilevanza di un gesto che appare di gratuita malvagità, se si considera che la visita dei fascisti a Valdottavo si era svolta nel massimo ordine, senza alcuna violenza, tra il consenso della popolazione. La prova migliore credo stia nel libretto che lo stesso Scorza, qualche mese dopo, dedicherà ai caduti: nell’ultima pagina vi è l’elenco dei presenti, e l’intestazione è: “Fascisti che parteciparono alla gita di Valdottavo”. “Gita”, non “spedizione punitiva” o anche solo “azione”, chè questo è lo spirito che anima i partenti radunati a Lucca nella piazzetta San Leonardo: sono sedici inizialmente, ma se ne aggiungono due, dopo che per ben tre volte Scorza ha invano provato a farli scendere dal camion. Per un’atroce beffa del destino, uno di essi, Gino Giannini, sarà una delle vittime, mentre l’altro, Aldo Baralla, resterà gravemente ferito.
Giacinto Reale
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