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Storie di squadrismo: quella volta che i rossi “lapidarono” i fascisti in “gita”

by La Redazione
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fascisti lapidati dai rossiRoma, 28 giu – Un episodio rimasto unico nella pur varia storia del quadriennio che portò alla conquista del potere da parte dei fascisti, e che forse vale la pena di essere raccontato. Il 21 maggio del 1921, meno di una ventina di squadristi lucchesi, guidati da Carlo Scorza (destinato a futura ma  incerta fama, perché ultimo Segretario del Pnf, nominato il 19 aprile del ’43, terrà, prima, durante e dopo la famosa riunione del 25 luglio, un comportamento unanimemente criticato) si recano in camion a Valdottavo per presenziare alla fondazione del locale fascio di combattimento. Terminata la cerimonia, alla quale, in un teatro, hanno assistito – e questo è abbastanza inspiegabile – quasi sino alla fine, un po’ defilati, ma indisturbati, tre noti sovversivi del luogo, il camion riparte, nella massima tranquillità. Giunto in località “Croce Celata”, poco prima di Rivangaio, l’automezzo viene centrato in pieno da molti massi (alcuni del peso vicino al quintale ), fatti precipitare dall’alto (monte Elto). Un macigno particolarmente grosso (sarà prima conservato nella sede del fascio di Lucca e successivamente esposto alla Mostra della Rivoluzione Fascista), battendo su una roccia sporgente per la china del monte, fa una parabola e piomba sul veicolo. Vi sono due morti, gli studenti universitari Gino Giannini e Nello Degl’Innocenti, quattro  feriti gravi e svariati feriti leggeri, tra i quali lo stesso Scorza.

Le indagini, condotte dalle forze dell’ordine, portano al fermo di quattordici persone, tre delle quali vanno poi a processo. Sono gli stessi tre individui vista alla cerimonia fascista; la tesi accusatoria è che fossero lì per procurarsi un insospettabile alibi, salvo poi allontanarsi prima della fine, per predisporre l’agguato. I tre, durante il processo, cadono in contraddizioni, e si accusano tra loro; in particolare, ad uno viene addebitata dagli altri la frase: “Se vengono i fascisti, gli faremo una scarica di pietrate”. Riconosciuti colpevoli verranno condannati a pesanti pene detentive. I fascisti denunciano l’accaduto con un manifesto nel quale non possono non sottolinearne la “originalità” (e sì che allora ne accadevano di tutti i colori !) dell’accaduto: “Non è in buona fede e non ha retta coscienza chi non sa o non vuole riconoscere l’assalto di una nuova specie che il nemico ci ha mosso. Abbiamo resistito e resistiamo ancora, serenamente e senza tentennare, pensando che il martirio varrà un giorno ad illuminare la nostra azione e a conquistare i ciechi e gli increduli”.

I loro avversari, secondo una tecnica già in uso all’epoca e destinata ad avere grande successo anche nei decenni seguenti, cercheranno di avvalorare la tesi che l’attentato fosse stato organizzato dallo stesso Scorza (il quale era –e questa è l’incongruenza- a bordo del camion bersagliato dai massi e finito fuori strada) per crescere d’importanza all’interno del movimento fascista. Si tratta di un disperato tentativo di sminuire portata e rilevanza di un gesto che appare di gratuita malvagità, se si considera che la visita dei fascisti a Valdottavo si era svolta nel massimo ordine, senza alcuna violenza, tra il consenso della popolazione. La prova migliore credo stia nel libretto che lo stesso Scorza, qualche mese  dopo, dedicherà ai caduti: nell’ultima pagina vi è l’elenco dei presenti, e l’intestazione è: “Fascisti che parteciparono alla gita di Valdottavo”. “Gita”, non “spedizione punitiva” o anche solo “azione”, chè questo è lo spirito che anima i partenti radunati a Lucca nella piazzetta San Leonardo: sono sedici inizialmente, ma se ne aggiungono due, dopo che per ben tre volte Scorza ha invano provato a farli scendere dal camion. Per un’atroce beffa del destino, uno di essi, Gino Giannini, sarà una delle vittime, mentre l’altro, Aldo Baralla, resterà gravemente ferito.

Giacinto Reale

 

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