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Con i tacchetti affilati: lode a Mandzukic, "cattivo" nell'era del pallone multirazziale

by Lorenzo Cafarchio
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Mosca, 16 lug – Il sipario su Russia 2018 è calato. La Francia di Mbappé, Pogba, Griezmann e Deschamps ha raccolto il secondo Mondiale della sua storia sconfiggendo, in finale, la Croazia per quattro reti a due. Un calcio essenziale, maniacale, ai limiti del killeraggio a livello di istinto. Ogni aspetto ottimizzato, mentre sul campo si consuma l’arditismo agonistico della nazionale di Zlatko Dalić. Il pallone inseguito fino allo sfinimento, ma con le gambe molli, gambe piegate da tre supplementari consumatisi agli ottavi di finale, ai quarti di finale ed in semifinale. Un estenuante percorso per arrivare a sfidare l’emblema del calcio senza radici: i Bleus.
 
Ma non ci interessa analizzare gli schemi e le mille storie di questa finale. Ci interessa un giocatore. Un giocatore che è icona. Un giocatore che ricorda antichi sapori ed unisce gli amanti del rettangolo verde provenienti da ogni epoca. Tra le fila dei croati, con la maglia numero 17, si staglia la figura di Mario Mandžukić. Mister No Good. Lo Zibì Boniek dei nostri tempi. Un volto scavato, bagnato dal sangue e dal sudore. Le sembianze da slavo incastonate in un corpo da 1,90 m e 85 kg. L’Onnipotente, come è stato ribattezzato da una pagina di suoi ammiratori su Facebook, ha guidato la Nazione balcanica ad un passo dal trofeo disegnato dallo scultore italiano Silvio Gazzaniga. Una folle corsa quella della Croazia passata dall’inferno degli spareggi, contro la Grecia, per raggiunge la Russia. Mario Mandžukić in una compagine ricca di talento cristallino, leggasi Modrić e Rakitić su tutti, ha incarnato l’abnegazione fatta ad atleta. Fasce bruciate di corsa, scivolate ai limiti delle regole e nessuna paura dei contrasti. Football is not for ballerinas. Claudio Gentile docet.
 
Il duello fisico contro l’estremo difensore inglese fa già parte della storia di questo sport. 105′. Primo supplementare della semifinale tra Croazia ed Inghilterra. Perišić percuote il campo e crossa in mezzo, il risultato è inchiodato sull’1-1, ed il pallone trova Mandžukić tra due difensori. Lo juventino impatta la sfera, ma l’uscita a kamikaze del numero 1 britannico, Jordan Pickford, salva la rete. Con tanto di tacchetti conficcati nella carne, due centimetri sopra il ginocchio. Il baldanzoso portiere dell’Everton, con l’attaccante croato a terra, non trova niente di meglio che proferire la frase: “Get up you fucking twat”. Mai disturbare il cane che dorme. Passano quattro minuti ed ancora Perišić spizza il pallone in area, Mandžukić si palesa dal nulla e buggera la porta inglese. Esultanza e fotografo travolto.
 
In finale sigla un’autorete, ma quando sul 4-1 sembrano mancare solo i titoli di cosa, infila un Lloris completamente imbambolato. In tutto questo, ancora una volta, il centravanti tuttocampista ha esaltato quel calcio fatto di sacrificio, gomiti alti e maglie sudate. Quel calcio popolare e nazionale che infiamma, chi come PPP, pensa che il pallone sia ancora e nonostante tutto: “l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo”.
Lorenzo Cafarchio

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1 commento

Raffo 16 Luglio 2018 - 9:19

Senza dubbio un vero uomo e sportivo,con le palle d’acciaio,un guerriero nella sua nerboruta magrezza,un vero gigante…….ce ne fossero di atleti così nella nazionale italiana,al posto di cialtroni vari, bianchi o neri che siano……. auguri.

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