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Tasso d'interesse vietato, condivisione dei profitti. Ecco la finanza islamica

by Claudio Freschi
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Roma, 29 set – Con il termine finanza islamica si intendono una serie di prodotti e servizi sviluppati per una crescente parte di mercato che non può rivolgersi alla finanza convenzionale in quanto questa contiene elementi come il rischio e l’interesse che sono proibiti dalla legge islamica (Shari’ah).
Circa un quarto della popolazione mondiale è di religione islamica, e sebbene questa tipologia di prodotti rappresenti al momento una nicchia molto piccola di mercato,  rimane un settore con grandi potenzialità, con un tasso di crescita del 20% annuo.
La finanza islamica ha avuto un grande sviluppo negli ultimi 30 anni, ma le sue radici affondano nel passato, è infatti basata su principi stabiliti quasi 1.500 anni fa ma allo stesso tempo in continua evoluzione, per rendere quei principi adatti alla società contemporanea, ed è questo che la rende interessante e innovativa.
L’essenza dell’Islam deriva dal Corano e dall’insieme degli scritti del Profeta Maometto, il complesso di norme e precetti al loro interno formano un vero e proprio sistema legale, con implicazioni in ogni aspetto della vita,  matrimoni, successioni, transazioni commerciali e comportamenti penalmente rilevanti.
La Shari’ah fornisce quindi le linee guida in termini di condotta morale e comportamenti pratici, e questo ovviamente comprende anche tutti gli aspetti legati alle transazioni finanziarie.
Nella finanza convenzionale, l’attività bancaria è tradizionalmente svolta impiegando i depositi per effettuare prestiti, instaurando sempre un rapporto creditore/debitore tra la banca e i suoi clienti. In questo tipo di transazioni è sempre presente, in forma attiva o passiva, un tasso di interesse (ribah) che è espressamente proibito dalla Shari’ah.
Allo stesso modo in altre transazioni non strettamente bancarie come le assicurazioni e il mercato dei capitali, vi sono degli elementi che non rispondono ai principi della legge islamica, come l’incertezza (gharar) o ancora il rendimento derivante da obbligazioni o il dividendo delle azioni (anche in questo caso ribah).
Ed infine sono strettamente proibite le pratiche commerciali riguardanti compravendita di prodotti o servizi proibiti, come ad esempio la carne di maiale o di qualsiasi animale che non sia stato macellato secondo i dettami e che sia quindi permesso (halal), l’alcool e i suoi derivati, la pornografia o le scommesse.
Esattamente come nella finanza convenzionale, esistono tre componenti fondamentali ovvero il sistema bancario, le assicurazioni ed il mercato dei capitali.
Il sistema bancario islamico si è sviluppato tantissimo negli ultimi 20 anni, ed è anche la componente più lontana rispetto alla finanza convenzionale seguendo logiche e prospettive completamente diverse.
Nell’Islam il denaro non è mai stato visto come un bene che prevede un prezzo per l’uso, bensì come un mezzo di scambio. E’ necessario quindi sostituire il concetto di interesse con quello di profitto, le banche islamiche non possono prendere a prestito o impiegare denaro per interesse, ma devono essere dei partner dei clienti, con cui condividere eventuali profitti e perdite, cambia radicalmente il rapporto tra i due soggetti, non più debitore/creditore ma a seconda della tipologia di contratto, investitore/imprenditore o ancora compratore e venditore.
Ancora più complessa è la questione relativa all’assicurazione islamica, chiamata Takaful. Le compagnie tradizionali hanno fini di lucro, e basandosi sulle aspettative di vita o sulla valutazione del rischio, fanno pagare un premio ai loro clienti a fronte di un eventuale indennità in caso di verifica di determinati eventi. Tutto questo è espressamente proibito dalla legge islamica in quanto prevede l’elemento dell’incertezza o gharar.  Takaful introduce il concetto di donazione e solidarietà tra i partecipanti, sostituendolo al contratto di vendita di un’indennità in cambio di un premio.  In questo caso, non essendoci un premio, l’incertezza dell’evento è tollerata in quanto trattasi di contratto di donazione e non commerciale a fini di lucro.
Anche il mercato dei capitali deve ovviamente sottostare ai principi della Shari’ah, per questo motivo azioni e strumenti a reddito fisso devono evitare di avere al loro interno interessi prefissati ed elementi di incertezza, e devono strutturarsi in maniera tale da essere adeguati alla legge islamica.
Vediamo ora nella pratica le principali caratteristiche della finanza islamica e le differenze con la finanza tradizionale.
Come abbiamo visto il sistema bancario islamico deve essere privo di qualsiasi forma di interesse sia esso in denaro o in beni o servizi. Sono quindi proibiti i depositi a tasso fisso e in maniera ancora più restrittiva è proibita qualsiasi forma di benefit legato ai depositi, ad esempio un telefonino in regalo ai correntisti o similari.  Per ovviare a questo esiste il contratto di Mudharabah, uno dei più conosciuti e diffusi contratti islamici dove una parte fornisce i fondi, e un’altra parte fornisce il lavoro o la tecnologia necessaria. Ad esempio la Banca crea un fondo deposito a 12 mesi, in cui ogni depositante (i clienti) in base alle somme versate avrà un peso specifico, dopo di che la Banca investirà queste somme in varie forme ma che hanno tutte lo scopo di favorire le attività commerciali.  Al termine dei 12 mesi il risultato qualsiasi esso sia (profitto o perdita) verrà redistribuito tra tutti i depositanti in base al peso specifico del singolo investimento.
Simile, ma più ampio è il concetto di Musharakah che letteralmente significa condivisione, un contratto usato principalmente come strumento di investimento a lungo termine, dove vengono ancora una volta divisi eventuali profitti e perdite, tra due o più soggetti che a differenza del Mudharabah, partecipano tutti, anche se in misura diversa, con dei capitali.
Un aspetto importante della finanza islamica è che tutte le somme andranno investite in attività reali, essendo strettamente proibita la pratica di generare denaro semplicemente da altro denaro, questo porta ad una vitale funzione per qualsiasi economia, il trasferimento di fondi tra chi ne è dotato a chi ne è sprovvisto riportando il denaro alla sua funzione originaria, un mezzo per facilitare gli scambi commerciali.
La distinzione tra finanza islamica e finanza tradizionale diviene meno netta se parliamo invece di mercati azionari.  La Shari’ah non ha nessuna preclusione di fondo contro lo scambio di azioni in quanto intrinsecamente si basa sul concetto di condivisione di profitti e perdite, l’investitore acquistando un’azione diventa socio di quella azienda e quindi ne condivide i risultati, siano essi positivi o negativi.  Il problema riguarda le transazioni di questi strumenti e ancora l’oggetto delle società in cui si va ad investire.
Come già accennato non solo non è possibile investire in società attive in determinati settori proibiti (come la compravendita di alcolici, di armamenti, di tutto quanto può essere inquinante) ma il divieto include anche la possibilità di investire in tutta la catena della produzione, della distribuzione e delle unità ausiliarie, rendendo così l’universo investibile piuttosto ridotto, in quanto la stragrande maggioranza delle imprese commerciali hanno dei collegamenti diretti o indiretti con queste attività proibite.
Lo sviluppo della finanza islamica è sottoposto ad una serie di criticità dovute essenzialmente a fattori geografici e di interpretazione.
Ad esempio in Medio Oriente si tende ad avere una interpretazione più restrittiva delle norme del Corano rispetto ad alcuni paesi del sud est asiatico come la Malaysia o l’Indonesia, allo stesso modo Sciiti e Sunniti tendono ad avere forme di applicazione diverse dei principi regolatori, con un differente grado di rigidità.
Inoltre molte delle Nazioni che si richiamano all’Islam hanno mantenuto un quadro legislativo del sistema bancario distinto dalla Shari’ah, richiedendo solamente che le attività in ambito finanziario seguano dei principi guida stabiliti da organizzazioni come la IIFA (International Islamic Fiqh Academy) oppure la AAOIFI (Accounting and Auditing Organisation for Islamic Financial Institutions) complicando ulteriormente la situazione.
Se la finanza islamica vorrà arrivare a competere con la finanza tradizionale, sarà necessario un grande sforzo in termini di trasparenza e di armonizzazione degli standard e delle pratiche accettabili, una continua ricerca di prodotti innovativi e soprattutto una grande opera di educazione all’interno e all’esterno del mondo islamico.  Rimane comunque un settore estremamente interessante dal punto di vista teorico che andrebbe studiato e approfondito soprattutto per i risvolti etici e filosofici, così lontani dalla logica della pura speculazione.
Claudio Freschi

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3 comments

Werner 29 Settembre 2018 - 6:34

Anche per il Cristianesimo il tasso di interesse sui prestiti é immorale, peccato che però in Occidente hanno sempre seguito il “modello ebraico” della finanza, che invece permette eccome l’uso del tasso di interesse.

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pedro 29 Settembre 2018 - 7:21

interessante!
in alcuni aspetti sono molto piu’ vicine l’islam ed il cristianesimo, rispetto alla ‘terza religione’, quella degli eletti…
La solidarieta’, la carita’ e la sensibilita’ verso chi e’ meno fortunato, esiste ed e’ forte sia nell’islam che nelle cultura cristiana. Non nell’ebraismo.

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Gianni Paciullo 29 Settembre 2018 - 9:20

Nell’ebraismo è fortissima, ma soltanto FRA LORO.

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