Roma, 10 apr – Del Titanic si è saputo più o meno tutto grazie al film del 1997. Una pellicola, quella di James Cameron, che invero si rivelò assolutamente spettacolare sul piano tecnico e di ricostruzione storica dei dettagli, decisamente meno sul piano della sceneggiatura e della trama scelta per fare da sfondo o da pretesto alla vicenda. In ogni caso, il 10 aprile del 1912 uno dei più colossali pezzi di avanguardia tecnologica dell’inizio del XX secolo salpava per il suo tragico viaggio inaugurale che, come è noto, sarà anche l’unico.
Titanic, un film stupido ma spettacolare
Bello e stupido. Così si può riassumere l’opera di Cameron, il quale non casualmente non era neanche mai stato un grandissimo sceneggiatore (basti pensare al suo lavoro precentente con i seguiti di Rambo e Alien, o successivo come nel popolare Avatar). Era però sempre stato un ottimo se non grandioso regista, capace di mettere in campo visione e tecnica come pochi altri al mondo. Forse Titanic è l’apice del suo dualismo: spettacolare, dettagliatissimo e incredibile da guardare quando demenziale da ascoltare e da seguire. Il naufragio del transatlantico è ancora oggi una delle prove di cinema maggiori mai viste, e fa impressione come a distanza di ormai 27 anni il girato non sia invecchiato quasi per nulla, ad eccezione di alcuni dettagli che soprattutto gli occhi raffinati di computer grafica (utilizzata per ricostruire le scene in lontananza) sicuramente notano. Ma insomma, a parte le sfumature, l’impianto visivo è sempre stato inattaccabile. Quello che faceva ridere di Titanic – nel senso peggiore del termine – erano i dialoghi, a tratti veramente imbarazzanti, e dei personaggi macchietta da telenovelas che potevano stare bene forse in un teen drama alla Dawson’s Creek (peraltro, molto popolare in quegli anni), non in un kolossal su una vicenda storica che invero aveva tantissimi spunti interessanti. Insomma, rimarchiamo pure: bello e stupido è il riassunto perfetto.
Un presagio di modernità cadente, di potenza, di disastri
La storia del Titanic fu quella della potenza tecnologica dell’inizio del secolo scorso. Ovviamente, guidata ancora dall’Inghilterra, e in tal senso non stupisce che la compagnia costruttrice del transatlantico fosse proprio la White Star Line, colosso britannico che avrebbe varato altri giganti della navigazione in quegli anni, dall’RMS Olympic del 1910 all’HMHS Britannic nel 1914. In realtà la filosofeggiante retorica sul Titanic, per quanto con una sua logica, è anche stata eccessiva: il transatlantico è affondato sicuramente per presunzione (e la ben nota differenza tra le poche scialuppe di salvataggio a bordo rispetto ai 2200 passeggeri, che ne rappresenta una traccia fondamentale), ma è stato anche oggettivamente sfortunato nelle circostanze stesse dell’affondamento, dall’iceberg incrociato in piena notte fino alla circostanza abbastanza incredibile di naufragare in acque calmissime. Sicuramente non sbaglia chi definisce il naufragio del Titanic come un presagio del conflitto mondiale che sarebbe scoppiato due anni dopo, in cui tutta la strabordante tecnologia di quegli anni sarebbe stata impiegata senza tanti sconti, costituendo una delle basi per una delle guerre più statiche che l’umanità avesse mai visto (la sola invenzione della mitragliatrice avrebbe generato la cosiddetta guerra di trincea, con guadagni minimi territoriali in caso di vittoria per tutti i contendenti). Certamente, è un naufragio che testimonia la fine della Belle Epoque, e di quella ennesima illusione in cui l’uomo casca ripetutamente, di essere arrivato a una sottospecie di “fine della storia” (ovviamente lieta e splendida) che in tal senso non va letta come un’invenzione di Francis Fukuyama proferita dopo la caduta del blocco sovietico, ma quale irrimediabile tentazione – sempre smentita – dell’essere umano. Quel soggetto che dalla storia non impara davvero mai.
Stelio Fergola