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Verso una guerra civile europea?

by Francesco Boco
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Romacaserta_castelvolturno, 22 ago – Recentemente personalità delle istituzioni hanno osato nominare una parola che da anni non veniva agitata con così tanta sicurezza e tranquillità, una parola che neppure le missioni in Afghanistan e Iraq avevano evocato: guerra. Come risvegliandosi da un bel sogno, i cittadini del migliore dei mondi possibili, si trovano di fronte a una guerra di cui non capiscono i contorni e gli schieramenti. C’è chi si è affrettato a dire che non si tratta di una guerra di religione, ed è probabilmente vero dal momento che non tutti i terroristi che colpiscono e colpiranno in Europa sono fedeli musulmani.

Quello che nessuno dice ma tutti vedono è però che tutti gli attentatori sono stranieri o, per lo meno, si sentono tali. Ciò sta ad indicare che è in atto una vera offensiva di stampo razzistico contro gli autoctoni europei. Quindi quando si parla di guerra, si deve parlare di una guerra civile d’annientamento. Il rapido susseguirsi di attacchi terroristici di varia entità che hanno colpito Francia, Germania, Giappone e altri paesi asiatici inducono a chiedersi quale sia la strategia del sedicente Stato Islamico. La formula per così dire classica di terrorismo, inaugurata da Felice Orsini, consisteva in attacchi mirati a sovvertire l’ordine costituito. Negli anni Settanta il terrorismo di matrice comunista doveva provocare uno sfaldamento delle istituzioni, spingendo all’insurrezione popolare. Il terrorismo che negli ultimi anni sta investendo non soltanto l’Europa non sembra puntare a un vero e proprio rovesciamento dell’ordine vigente, quanto piuttosto a soffiare sul fuoco di una guerra civile all’interno dell’Europa.

È evidente che allo stato attuale delle cose lo Stato Islamico non ha i mezzi e gli uomini per poter ragionevolmente sperare di conquistare l’Europa. In realtà ciò che sta accadendo è un crescendo di violenza e caos che, come per il terrorismo degli anni ‘70, non fa che rafforzare le centrali di potere sovranazionali. Il terrorismo è uno dei mezzi più efficaci e appariscenti del caos globale in cui sguazzano multinazionali rapaci, oligarchie finanziarie e agenti del disordine mondiale. Altri mezzi efficaci di questa strategia sono il narcotraffico, i flussi immigratori, il traffico di armi e organi ma non solo. Questi flussi di denaro, uomini e strumenti si intersecano in una rete connettiva di crescente influenza anche solo puramente “pubblicitaria”. Il cosiddetto Stato Islamico, che si presenta come il distruttore dell’Occidente decadente, è del tutto occidentalizzato per quanto riguarda i suoi mezzi di propaganda e lotta, nonché per talune abitudini dei suoi affiliati quali l’abuso di droghe, la distorsione o l’esasperazione della tradizione religiosa islamica e così via.

Lo Stato Islamico è il peggior nemico dei musulmani, i quali dovrebbero essere in prima linea contro tutti coloro che supportano in qualsiasi modo la sua insana strategia. Lo scopo dello SI è ormai chiaro: attraverso l’impiego di una violenza feroce e indiscriminata, si tratta di attirare sui musulmani delle rappresaglie generalizzate che li spingano poi ad abbracciare la causa jihadista. I massacri di civili non sono fini a se stessi, vogliono essere la miccia che inneschi un circolo distruttivo di conflitto tra religioni e popoli. Huntington parlò di scontro di civiltà in termini principalmente continentali, Dominique Venner chiarì l’interpretazione dicendo che lo scontro di civiltà potrebbe diventare interno alla società europea. Le ultime notizie provenienti dalla Germania possono forse essere lette in questa prospettiva.

In diverse occasioni è emerso che gli attentatori non erano musulmani praticanti o anzi non lo erano affatto. Questo dimostra una volta di più che il problema non è in primo luogo religioso, ma riguarda la presenza di immigrati sul suolo Europeo. Si può pensare ingenuamente che una scritta sulla carta d’identità faccia di un ragazzo di origine afghana o irachena un tedesco o un francese, ma non è così. Come dimostrano diversi casi, questi ragazzi non si sentono parte del paese in cui abitano, non ne condividono i “valori fondanti” e spesso disprezzano e odiano gli autoctoni. In questo brodo di coltura di disagio e risentimento prendono piede tendenze criminali che poi sfociano in atti di terrorismo. Gli omicidi sono sempre e prevalentemente perpetrati contro europei e non, ad esempio, contro imam anti-estremismo. Questo fatto incontestabile, che è sotto gli occhi di chiunque abbia un briciolo di onestà per vedere la realtà delle cose, deve portare a una radicale critica delle politiche d’integrazione, rivelatesi fallimentari su tutti i fronti. Ma il fallimento da cosa è dovuto? Da mancanze da parte delle nazioni europee di arrivo, ma anche da un numero spropositato di immigrati che stanno via via diventando ingestibili e insostenibili.

Perché sia possibile integrare – ammesso e non concesso che questa sia la migliore politica di gestione dell’immigrazione – è indispensabile che il paese di arrivo presenti una solida identità, una cultura prestigiosa, una comunità forte e coesa, strutture sanitarie ed educative all’altezza: tutti aspetti che contribuiscono a rendere un fatto di orgoglio e onore appartenere alla nuova “patria” (è un pensiero formulato in termini leggermente diversi dal grande storico Arnold J. Toynbee). Una nazione di questo genere, fortemente identitaria, non sarebbe però portata ad accettare un’immigrazione incontrollata e indiscriminata, opererebbe una selezione qualitativa secondo i propri principi fondanti. Dunque il problema consiste nel ritrovare una forte identità culturale. Il fatto che siano principalmente le generazioni di “nuovi europei” a fare da bacino di arruolamento degli estremisti islamici dimostra ancora una volta che le prime generazioni di immigrati, cioè i loro genitori e i loro nonni, si trovavano di fronte a una società ancora relativamente solida culturalmente e più marcatamente connotata.

Importanti filosofi hanno da tempo vagheggiato un patriottismo costituzionale quale legante della società multietnica. Più passa il tempo e più questa posizione appare inefficace e inconsistente perché si affida a formule astratte e generiche che difficilmente vengono accolte da generazioni nichiliste ed individualiste oppure da persone provenienti da una cultura fortemente caratterizzata in senso differente. Basti pensare che la laicità dello Stato e la separazione della sfera religiosa da quella politica non è contemplata da tutto l’Islam. Lo Stato liberale, erede delle teorie di Hobbes e Locke, si fonda sul contratto stretto tra cittadini e governanti in cui all’obbedienza delle leggi deve corrispondere la tutela dei propri interessi, della proprietà e dei diritti fondamentali. La crescente violenza e tensione sociale mettono in crisi questo contratto non scritto, ponendo seriamente in questione la legittimità del potere statale – già di per sé indebolita ed erosa. Inoltre la graduale proletarizzazione della popolazione, corrispondente a un considerevole abbassamento del livello di vita, diventerà con tutta probabilità un ulteriore fattore di instabilità e frattura sociale.

Il terrorismo introduce una variabile impazzita nella società europea, i cosiddetti lupi solitari, sulle cui azioni lo Stato Islamico mette la firma in seconda battuta a scopi propagandistici, legittimando così l’azione dell’assassino ed eccitando al contempo la fantasia degli emuli. Questo è uno degli aspetti che giornali e siti d’informazione non dovrebbero lasciare passare. È questo senso di minaccia incombente e ubiqua a segnare il fallimento dello Stato e dei suoi apparati, contribuendo di giorno in giorno a un clima esplosivo di conflittualità crescente. Sembra sempre meno credibile che almeno una parte dei massacri andati a segno non potesse essere evitata. I sistemi di sorveglianza e prevenzione, in allerta da anni, appaiono curiosamente inefficaci, contribuendo ancora una volta alla rottura del “contratto sociale” e a una pericolosa perdita di autorità politica statale. Peraltro le dirigenze politiche europee sono sempre più delegittimate a causa di quella che dai cittadini viene considerata inettitudine se non complicità nelle uccisioni degli ultimi tempi.

Abbandonati dallo Stato e dalle forze armate, i popoli europei spinti all’esasperazione potrebbero finire col trovarsi spalle al muro di fronte a una realtà sempre più French-disturbiosviolenta e insicura. Allora il disegno di destabilizzazione e scontro di civiltà avrà pieno successo, avendo prodotto “linee di faglia” interne ai paesi europei, in cui si mescoleranno odi etnici e religiosi in una miscela esplosiva mai vista prima. Le guerre di religione intraeuropee presero avvio dalla Defenestrazione di Praga nel maggio 1618, quando due governatori imperiali vennero appunto lanciati fuori dalle finestre del Castello da aristocratici protestanti. Quel gesto dall’esito incruento fu la proverbiale goccia che fece traboccare le tensioni tra cattolici e riformati e diede il via a un massacro durato trent’anni. Se le cose continueranno così c’è da aspettarsi che il punto di rottura venga presto o tardi raggiunto, quando l’ennesimo attentato, l’ennesima strage, provocheranno una reazione esasperata e indiscriminata di chi fino a quel momento ha subito in silenzio. Allora l’identità assumerà forme quasi primitive e traccerà il confine invalicabile tra “noi” e “loro”, legittimando una lotta per la sopravvivenza forse auspicata a tavolino dalle élite mondialiste.

Al crescendo di tensione e conflittualità contribuisce in modo considerevole anche un’immigrazione extraeuropea oramai fuori controllo e che sta sollevando critiche e perplessità persino tra coloro che in passato ne avevano sminuito la portata. Da questo punto di vista il fattore demografico è fondamentale, perché coincide con un alto tasso d’invecchiamento della popolazione europea. Questo significa che nell’arco di qualche generazione, se la tendenza non verrà invertita, gli autoctoni si vedranno superare in numero dagli stranieri. A questa crescita demografica si associano fattori di forte tensione sociale quali il sovraffollamento, la disoccupazione, l’impoverimento della popolazione ecc. Di queste cause ne sono tutti ben consapevoli ma continuano a fingere che il problema non esista.

La crescita demografica degli immigrati in Europa, unita a politiche di integrazione disastrose, produrrà non soltanto le condizioni ideali per contrasti etnici e rivendicazioni di vario genere, ma anche un vasto brodo di coltura per il risentimento e l’odio così bene impiegati dall’ideologia terrorista. Nel suo libro del 1978, On human nature, il biologo Edward Wilson scriveva: «Quando le densità della popolazione sono basse, ogni forma di comportamento aggressivo è sospesa. Quando le densità sono moderate, il comportamento aggressivo assume una forma tenue quale la difesa territoriale intermittente. Quando le densità sono elevate, la difesa territoriale è netta». È nell’interesse dei popoli europei e di tutti i popoli liberi prevenire una situazione del genere.

Gli europei, piaccia o meno, sono in prima linea in una guerra strisciante che punta a distruggere il loro patrimonio culturale, genetico e storico e devono trovare la forza di contenere e neutralizzare una minaccia che sta crescendo nel seno stesso delle loro società. Perché sia possibile sconfiggere il terrorismo la prima risposta è politica e consiste nel riacquistare la sovranità nazionale, con la relativa identità storica e culturale. Questo non può e non deve essere il pretesto di contrasti piccolo nazionali, ma lo stimolo a una protezione dei confini d’Europa concertata a livello comunitario, associata a politiche demografiche, di remigrazione e accoglienza del tutto mutate di segno e adatte alla realtà storica e politica. Si tratta anche di un impegno culturale a 360° che coinvolga le comunità musulmane, indirizzandole a una definizione e semplificazione delle correnti, affinché si creino le condizioni per un Islam europeo, in cui non ci sia posto per correnti pericolose come quella waabita, salafita o associazioni legate ai Fratelli Musulmani. È ora che la comunità islamica faccia seriamente i conti con chi fa parte della stessa famiglia religiosa e si lega all’ideologia del terrorismo e della distruzione.

L’Europa deve essere un territorio di prosperità e solidità comunitaria. Perché ciò si avveri è indispensabile fin da ora avviare politiche di governo delle identità che cambino di segno l’approccio all’immigrazione e alla cittadinanza, senza le quali l’eventualità di una guerra civile europea appare sempre più vicina.

Francesco Boco

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5 comments

Luca 23 Agosto 2016 - 9:37

Complimenti, il miglior articolo sul tema che abbia mai letto. Luca

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Roberto VR 25 Agosto 2016 - 10:33

Bellissimo articolo. Riassume tutto quello che la gente di buon senso (ed è la maggior parte) pensa ma non può dire, ciò che la Ragione vede chiaramente ma i boiardi europei e finanziari non vogliono si veda. L’aggravante peggiore in tutto ciò è la pseudo-informazione che, lungi dall’essere libera, è in realtà l’arma più potente (insieme all’ignoranza diffusa) ed omogeneizzante del Potere che ci vuole cancellare per creare solo una massa acefala di “consumatori”.

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GIOBIZ 25 Agosto 2016 - 12:36

E’ in corso una vera e propria sostituzione di Popolo, ma gli italiani tutti distratti dai social network e dal calcio…nuovi stupefacenti del terzo millennio, mentre sul Sacrario di Monte Grappa, riposano ITALIANI poco più che ventenni caduti per difendere confini ed identità nazionale…ma questa è un altra storia!!!

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FB 25 Agosto 2016 - 6:47

grazie a tutti

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Natalie 29 Agosto 2016 - 8:35

Dritto nel segno! Grazie per questo stupendo articolo.

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