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“Vi spiego perché il progressismo liberal per me non è un’ideologia”: Rico alla vigilia de “L’Aquila Città del Libro”

by Stelio Fergola
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Rico intervista

Roma, 27 lug – Alessandro Rico è una delle firme migliori de La Verità, uno dei quotidiani che maggiormente prova, con fatica, a proporre visioni diverse in campo culturale e informativo. Abbiamo intervistato il giornalista alla vigilia del festival L’Aquila Città del Libro.

Intervista a Rico prima del festival de L’Aquila

Rico, lei si è occupato del Covid, del “green” sempre da una prospettiva controcorrente. Alla luce di ciò, ci parli della sua conferenza a L’Aquila.

«Il tema dell’egemonia culturale di sinistra si pone sempre. Ora con il nuovo governo ci si aspettava un cambio di verso e in molti stanno sostenendo addirittura che la Meloni “si prenderebbe” tutta la Rai, il centrodestra monopolizzerebbe la televisione di Stato, come se peraltro prima le nomine si facessero per virtù dello Spirito Santo…ma al il là di questo, si tratta di discutere se sia il caso e se ci siano le risorse per costruire una sorta di “controegemonia culturale”. Dal mio punto vista non è esattamente l’obiettivo condivisibile per due motivi: il primo è che la speranza di tutti è il pluralismo, non il controllo. E il secondo è che l’egemonia non esiste più neanche a sinistra. C’è sicuramente un’occupazione di spazi, incarichi e “poltrone”. Ma non c’è la capacità di orientare l’ideologia, anche perché le ideologie sono morte. A sinistra non si comprende proprio la realtà, a differenza che a destra (la quale, però, non si dimostra in grado di proporre e realizzare soluzioni)».

Lei dice che non esistono più le ideologie. Però è indubbio che l’Occidente sia permeato e indirizzato – al netto di ovvie sfumature – in maniera abbastanza determinata su globalizzazione, liberismo, immigrazione, multiculturalismo come multietnicismo (a presindere dall’esistenzs dell’assimilazionismo), etiche orientate sempre più alla libertà individuale estrema (uteri in affitto, eutanasia, ecc.),

«Dobbiamo metterci d’accordo su cosa intendiamo per ideologia. Se la intendiamo nel senso marxiano del termine, quella sovrastruttura che si utilizza per mascherare la realtà con una narrazione “confondente”, allora sì che esiste un’ideologia. Se la definiamo nel senso classico del termine, di un’interpretazione filosofica e culturale, di una “grande teoria” coerente e unitaria come potevano essere il marxismo o altri casi inerenti al conservatorismo, che proponga in modo diretto alle persone “come pensare” mi sembra invece il contrario, ovvero che siano aspetti venuti meno».

Insomma, il comunismo aveva “Il Capitale” di Marx, il fascismo il documento programmatico del 1932 (o il manifesto del 1919), al progressismo liberal manca questo elemento, dice lei. Ma non può essere che sia proprio questa la sua forza, ovvero non essere “esplicito”?

«La sua forza discende dalla capacità coercitiva e dalle forze e alleanze di cui gode, perché tutti i grandi gruppi mediatici promuovono quella visione, la promuovono tutti i grandi potentati economici, la promuovono le élite delle Nazioni occidentali che tutto sommato hanno ancora una grossa proiezione geopolitica. Ma mentre marxismo e cattolicesimo (per fare due esempi) davano a chi li seguiva un inquadramento generale in cui si veniva letteralmente immersi, in questo caso non ci sono punti di riferimento, ma solo dogmi, quasi “slogan”».

Per concludere, qual è la differenza tra sinistra e destra nell’interpretare la realtà odierna?

«A sinistra non c’è proprio la capacità di costruire sui temi concreti una narrazione coerente e attrattiva, per il semplice fatto che la proposta culturale e politica che essa partorisce, ce ne siamo resi conto da anni, non attira più i suoi tradizionali bacini elettorali, come le classi meno abbienti. La destra da questo punto di vista è più attraente perché ha la capacità di comprendere l’esistenza di molti problemi reali, come l’impatto della globalizzazione sulle classi medie, l’immigrazione e le sue conseguenze anche in termini di sicurezza nelle città, è stata in grado perfino di capire che c’è un grosso depotenziamento del valore delle elezioni, visto che le decisioni davvero decisive vengono prese indipentemente da queste ultime: non mi pare però che sia riuscita ancora a fornire una risposta coerente».

Stelio Fergola

 

 

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