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Italia-Germania 4-3, come e perché divenne la partita del secolo

by Marco Battistini
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partita del secolo

Roma, 17 giu – Il cuore del calcio, si sa, trova sangue pulsante da due elementi legati e contrapposti. Da una parte c’è l’amore riversato alla propria squadra, dal lato prospiciente l’odio agonistico per le compagini rivali. Che possono essere tali per territorialità o particolari circostanze – per così dire – storiche. Insomma, non si possono sostenere i propri colori senza d’altro canto aver mai convintamente “tifato contro”. Sentimenti che non risparmiano nemmeno le narrazioni nazionali, dove per ovvi motivi le nostre classiche contendenti rispondono al nome di Francia e Germania. Un particolare derby d’Europa a tre: se per i vicini transalpini le motivazioni della discordia vanno ricercate in secolari contesti extra calcistici, la questione teutonica vede nascere l’antagonismo sportivo in una data ben precisa. E’ il 17 giugno 1970 e nella lontana Città del Messico andava in scena Italia-Germania 4-3, la partita del secolo.

Campioni d’Europa contro vicecampioni del mondo

I mondiali disputati nello stato ispanofono furono gli ultimi della Coppa Rimet e i primi trasmessi dalla televisione a colori. Edizione comunque rivoluzionaria: le due sostituzioni, i cartellini, l’affermazione del pallone bianco e nero in luogo del romantico cuoio scuro. Tra le principali candidate al titolo – appunto – Italia e Germania, rispettivamente campioni d’Europa e vice campioni del mondo uscenti. Vincerà con merito il Brasile, ma il globo intero si ricorderà di quella semifinale tutta europea

La partita del secolo

Nel turno precedente gli uomini di Valcareggi hanno strapazzato i padroni di casa, mentre le maglie bianche (in parte) restituito agli inglesi la sconfitta all’ultimo atto dell’edizione precedente. Così mentre a Guadalajara la Seleçao supera 3-1 l’Uruguay, Italia e Germania Ovest danno vita a novanta tiratissimi minuti di gioco. Gli azzurri, subito avanti con il caparbio mancino di Boninsegna, come da tradizione si difendono e provano a raddoppiare in contropiede. Ma in pieno recupero subiscono il pareggio di Schnellinger, lasciato poco italianamente solo in mezzo all’area. 

La gara deve quindi la sua epicità ai tempi supplementari, quando nel giro di diciassette minuti i centomila tifosi – e i tanti telespettatori, nonostante nel Vecchio Continente fosse notte fonda – assistono a cinque reti, significanti continui sorpassi nel risultato. Dal 94’ in avanti succede di tutto: due dormite colossali permettono prima ai tedeschi di completare la rimonta poi ai nostri di ristabilire la parità. Il sinistro secco di Riva vale il controsorpasso italiano, vanificato però da un goffo tentativo di salvataggio sulla linea da parte di Rivera. 3-3 e palla al centro. Ma proprio al pallone d’oro rossonero bastano venti secondi per fissare il punteggio e regalare a un intero popolo la terza finale mondiale della propria storia. Una “meravigliosa partita”, come definirà quei combattuti frangenti il telecronista Nando Martellini.

La “profezia” di Brera

Non tutti però apprezzarono appieno lo spettacolo offerto dalle due nazionali. Profetico su Il Giorno fu il pungente realismo di Gianni Brera: “Il 4-3, a pensarci, legittima tutto: anche le nostre fondate ambizioni a vincere definitivamente la Rimet. Ma se commettiamo gli sfondoni di mercoledì con il fiero e disinvolto Brasile, poco poco ne prendiamo de goleada”. Lo abbiamo anticipato poche righe sopra, effettivamente i verdeoro di Pelé ci rifilarono una sonora bastonata. Ma come ci ricorda la targa commemorativa ancora presente allo stadio Atzeca, teatro della leggendaria partita, il primo mondiale messicano era già passato alla storia come quello di Italia-Germania 4-3. Da leggersi rigorosamente tutto d’un fiato.

Marco Battistini

 

 

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