Roma, 10 mar – “Perché la vita della prigione, colle sue privazioni e i suoi sacrifici innumerevoli, spinge alla rivolta”. Oscar Wilde, De profundis. Eh, eh, ho preferito iniziare questo breve pezzo citando Wilde invece che Jünger o Pound, non solo per dare ancora un argomento ai tanti duri e puri, sicuramente omofobi, ma anche perché mi sarebbe sembrato di profanare quei grandi a metterli in gioco contro questi fasci e benpensanti da tastiera e da social.
Noi ultimi uomini, sempre più deboli e indifesi
Ma il problema è sempre il solito, i detriti di questa modernità liquida, per dirla alla Zygmunt Bauman. Una fiumana che erompe con la crisi della comunità, dello Stato, della politica, non più governati se non dal mercato, dalla finanza, dalla globalizzazione, e che lascia dietro di sé detriti, macerie umane e sociali dove non sopravvive alcun nomos che possa guidare noi ultimi uomini, sempre più deboli e indifesi di fronte alle tempeste e incertezze della vita, dove precarietà, vulnerabilità e miseria finiscono col dividere, non unire, dove si è persa non solo la pietas ma anche la solidarietà, quella solidarietà nel dolore che resta anche quando tutto il resto è ormai perduto, e che può ancora tutto salvare!
E così negli scorsi giorni, con l’affastellarsi e contraddirsi sui media e nelle chiacchiere al bar di notizie sul coronavirus, con i telegiornali che mostravano l’impotenza (o malafede?) dei nostri governanti, ma anche l’insipienza, se non peggio di questo “popolo”, pronto a passare, appunto come una fiumana, dall’assalto ai supermercati per fare incetta di viveri e dalle fughe verso il sud per sfuggire al contagio – portandolo magari ad altri, e ai loro stessi familiari – all’adunarsi poi nelle movide e nei locali alla moda, avevo anche fatto un po’ di attenzione a quel che veniva riferito sulle disposizioni riguardo alle carceri ed ai carcerati, questa sorta di morta gora che ancora mi contiene e coinvolge. Ovviamente anche qui con notizie e decisioni contraddittorie, che andavano dal blocco dei permessi, dei colloqui e della semilibertà alla proposta della detenzione domiciliare per i carcerati anziani ed ammalati. E mi ero divertito anche a considerare che, dopo avermi preso giovinezza e maturità, ora da vecchio, per colpa del virus, mi volevano cacciare via…
Conoscere il carcere, tra infamia e disperazione
E poi le prime notizie delle rivolte in carcere, che mi avevano fatto dimenticare gli anni e l’età, e mi avevano riportato ai bei vecchi tempi delle gioventù…Ma subito, sui social, una serie di duri e puri da tastiera – e parecchi sedicenti camerati e, purtroppo, anche camerati veri, che conosco e stimo – a proporre di sparare ai detenuti in rivolta, nemmeno riconoscenti della fortuna che hanno avuto di stare in un ambiente asettico ed isolato. Asettico sì, come una fogna, che l’unica cosa pura in questi ambienti sono il dolore, la paura, la solitudine, la disperazione! Anche se debbo confessare che certe frasi esprimono quello che anch’io, colpevolmente, pensavo 45 anni fa: sono criminali, spacciatori, assassini – e poi lo Stato deve mostrare la sua forza… Ma de chè, per dirla in romanesco.
Perché per parlare del carcere, e parlarne con cognizione di causa, bisognerebbe averci trascorso almeno un po’ di tempo, aver sentito i cancelli che si chiudono sbattendo, aver subito le perquisizioni corporali, essersi dovuti confrontare non tanto con la disumanità quanto con l’indifferenza delle norme e dei “superiori”… Si conosce il carcere, ed i carcerati, col loro carico di disperazione, e magari anche di infamia, solo vedendo i portoni che ci chiudono dentro, solo confrontandoci con l’assurdo delle disposizioni, con l’insensatezza delle procedure.
Conoscendo di persona, e riconoscendoli come persone, questi disgraziati, per la maggior parte vittime di un destino scontato, vittime anche di se stessi e delle loro scelte sbagliate, trascinati come detriti dai frangenti impazziti di questa società liquida. Ma, citando ora da Facebook un vecchio camerata, Francesco Mormile: “I duri e puri, quelli che confondono il fascismo con la crudeltà, quelli che hanno sempre detto armiamoci e partite, quelli che stanno sempre con la ragione e mai col torto, ecco anche loro li condannano. Smettetela, i detenuti vanno semmai rieducati e non torturati! Avevano fatto delle richieste, ma nessuno li ha cacati! Abbiamo un governo di incapaci, un ministro della Giustizia che è in religioso silenzio e un ministro degli Interni che pensa solo a far sbarcare emigranti! E i duri e puri con chi se la prendono? Con i carcerati, con i più deboli, certo. Le rivolte sono anche richieste di aiuto, che però nessuno accoglie!”
Il contagio, un rischio autentico tra le sbarre
Citando ancora, e insieme, Wilde e De André, colui che “non ha mai mangiato il suo pane nel dolore, che non ha mai passate le ore della notte ad attendere il mattino che tarda, in queste grandi pattumiere per i giorni già usati, vivendo la propria morte con un anticipo tremendo”, è bene che taccia, altrimenti si dicono solo cazzate, chiacchiere da bar e da social…Definire il carcere un ambiente asettico è una vera stronzata, lo dico per trentennale esperienza: quando in sezione uno si prendeva l’influenza, a causa del sovraffollamento e della promiscuità, l’attaccava a tutti gli altri, e magari l’ultimo contagiato la riattaccava al primo. Ed è difficile anche avere un analgesico, una tachipirina, un po’ di candeggina per pulire la cella. Per non dire dei ritardi e della sequela delle autorizzazioni se fosse necessario un ricovero. Quanto all’isolamento, ci sono le guardie che entrano ed escono, con tre turni giornalieri, e poi direttori, educatori, inservienti, a portare il contagio.
Vorrei vederli, questi duri e puri rinchiusi – ingiustamente certo, perché loro di crimini non ne commettono mai – in una sezione dove qualcuno si fosse preso il coronavirus, e senza nemmeno il conforto di un colloquio con un familiare…E allora consentimi lo sfogo: per quanto grandi siano i crimini e l’indegnità dei detenuti, sono niente in confronto a quelli del regime e delle persone che li tengono dentro in questa condizioni. Se poi qualcuno non è contento che spacciatori, trafficanti, assassini cerchino di uscire, o come me, siano praticamente fuori, perché non va e gli spara? Questo anch’io lo considererei giusto.
Una questione di civiltà
Ma si preferisce sfogarsi sui social, e rimettere tutto ad uno Stato che più indegno di così non si può. E poi, scusate, non è lo stesso Stato, la stessa polizia, gli stessi carabinieri che sgomberano i nostri centri e gli immobili occupati da famiglie italiane, che ci denunciano, e ci condannano, per le nostre manifestazioni, per i nostri scritti e le nostre parole? Scusate la foga, ma nemmeno l’età mi ha abituato ai coglioni!
E credetemi, non è certo perché il carcere col suo dolore ha toccato anche me che prendo le difese del carcere e dei carcerati, non sono certo uno che piatisce. Semmai cerco una giustizia che vada oltre i codici, i giudizi ed i pregiudizi dei benpensanti… Per provare a ricostruire insomma, coi detriti della modernità, con la solidarietà, quegli argini che le tradizioni, i costumi, i valori, i ruoli avevano eretto da secoli, dando forma alla società, e alla nostra civiltà.
Mario Tuti
6 comments
Da riflettere.
Francamente non capisco perchè mai dovremmo preoccuparci dei carcerati:
Chi se ne frega?
Forse che i delinquenti hanno mai concesso sconti condoni indulti o aministie alle loro decine di migliaia di vittime?
Quando si vive facendo sistematicamente del male al prossimo sottoforma di rapine, spaccio, stupri aggressioni, furti, estorsioni, violenze, omicidi e chi più ne ha più ne metta è logico che almeno un pò di tutto questo male e di tutto questo odio così generosamente seminato a piene mani, ritorni indietro sottoforma come minimo di indifferenza.
E i delinquenti ringrazino, che la società civile essendo composta appunto da gente molto più civile e misericordiosa di loro, per adesso si limita solo all’ indifferenza.
Perchè se dovessimo agire come loro ripagandoli con la stessa moneta e restituendogli tutto il male che ridendo hanno fatto agli altri, allora altro che carcere…. Urlerebbero fino a perdere la voce.
Condivido quello che ha espresso Mario!
…sono secoli che si parla di reinserimento nella società tramite corsi professionali..,ma a “qualcuno” non va…evidentemente fanno comodo gli “scarti” della “buona società”… servono come parafulmini per nascondere le pecche del potere….Qualcuno disse:” chi di voi è senza peccato scagli la prima pietra e quelli se ne andarono” ora ,in questi luridi tempi, le” brave genti”, scagliano le loro facce di pietra…
Giustissimo e sacrosanto pubblicare uno scritto di Mario Tuti, ma non condivido assolutamente nulla di quello che sostiene e spiegarlo richiederebbe uno scritto ancora più lungo e dettagliato del suo.
Ritengo che l’unico argomento di discussione che potrebbe essere buttato sul tavolo è che, in questa sgangherata Italia, la giustizia è strabica e la repressione è molto severa con alcuni e troppo indulgente con altri.
Per giunta, nessun commento e tanta, ma tanta compassione quando parla di “fasci e benpensanti da tastiera e social” ed infine li definisce anche “coglioni”.
Mi dispiace, non ci siamo proprio!
La prigione deve essere una pena, un calvario, altrimenti perde il suo senso di esistere. Deve farti passare la voglia di fare del male alle persone, deve farti dire: se rifaccio il delinquente torno li dentro! allora non lo faccio!!! Rispetto alle prigioni in giro per il mondo le nostre sono dei villaggi turistici e cosa succede? Questi si rivoltano e per questo ottengono anche agevolazioni invece di pene più severe o aumentate. Il messaggio che passa è che con la violenza si ottiene tutto. Complimenti, sempre meglio! Mi raccomando non isegnategli a comunicare in un altro modo, altrimenti si rompono gli equilibri!