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Chiudono i manicomi giudiziari. E i malati che fine fanno?

by La Redazione
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ospedali psichiatrici giudiziariRoma, 2 apr – Gli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) sono in chiusura. Si tratta, per come ce li vogliono presentare, degli ultimi “baluardi” di una psichiatria vecchia, vessatoria e punitiva, che confonde la devianza con il crimine e la cura con la correzione.

Niente di tutto questo, sono semplicemente strumenti giudiziari ad uso di autori di crimini che si considerano gestibili per via sanitaria, in quanto portatori di malattie mentali al momento del fatto. Questi ospedali sono ad oggi le uniche strutture in cui sia di fatto possibile trattenere per lunghi periodi un malato psichiatrico (per tempi brevi anche nei reparti psichiatrici ospedalieri), e sono diventate per alcuni malati una sorta di residenza definitiva, o comunque a lunghissimo termine, data la gravità e l’incurabilità delle loro condizioni.

Indipendentemente dalle ragioni che hanno portato a deciderne la liquidazione, che temiamo ideologiche, l’aspetto preoccupante è che la soluzione proposta sembra contare su un fattore cruciale: che la malattia mentale non esista. Lo stesso presupposto fu quello alla base, nei tardi ’70, della chiusura degli ospedali psichiatrici sanitari, non giudiziari, che di fatto svolgevano anche funzioni preventive e contenitive.

Anziché un adeguamento sanitario, ne fu decisa la chiusura, con riversamento sul territorio del carico e della responsabilità della gestione della malattia mentale acuta e cronica. Ne seguì una epidemia di mortalità per causa psichiatrica, ovvero tra malati psichiatrica, che “risolse” letteralmente il problema nella maniera meno sanitaria possibile, lasciando al proprio destino un’intera categoria di malati e famiglie. Il diktat era quello di proclamare la liberazione dalle catene della psichiatria istituzionale, fonte di ogni male, e quindi i morti non pesarono e non pesano tutt’ora, né come rimorso, né come oggettività.

L’ultima categoria di malati psichici da liberare, in questo caso doppiamente, dalle carceri e dall’istituzione che, secondo le teorie illuminate, “genera” la malattia mentale, sono quelli colpevoli di reati violenti. Il fantomatico “territorio” si sta organizzando a ricevere malati che non sono, in quanto malati, in grado di chiedere aiuto nei modi e nei tempi utili a prevenire ricadute, e complicazioni varie, e in parte a persone che neanche sono consapevoli delle proprie condizioni, poiché vivono in realtà deliranti. Strutture ricettive per utenti che non hanno alcuna ragione di affluirvi, restarvi, esserne controllati. Se non sotto costrizione e vigilanza continua, ovvero qualcosa di equivalente all’OPG, ma senza i suoi vantaggi.

Non c’è nessuna novità psichiatrica, in questi ultimi anni, che abbia rivoluzionato al punto la prevenzione degli atti violenti e dei suicidi, da giustificare questa sicurezza nel “liberare” le malattie insieme ai malati. Come se non bastasse, alcuni degli antichi e validi strumenti che proprio per questo tipo di situazioni hanno un rapido effetto, come l’elettrostimolazione (altrimenti nota come elettroshock), è disponibile solo in 5 ospedali su tutta la penisola (escludendo i centri privati).

La legge che accoglie questi malati da tutelare insieme al corpo di società in cui vivono è quella della legge 180, che fu vessillo di libertà dal giogo della psichiatria ma ipocritamente si premunì di fissare le regole per i trattamenti obbligatori, nella maniera meno preventiva possibile.

Ricordiamo che oggi un soggetto a rischio di commettere atti dannosi a sé o agli altri a causa di uno stato mentale che non controlla non può essere fermato, ma segnalato, dopodiché il sindaco ha l’autorità di disporne la ricerca e l’arresto “sanitario”. Se la persona afferma di volersi curare a casa, o non risulta al momento pericolosa, il malato non è “arrestabile”. La maggior parte dei trattamenti obbligatori non è effettuata secondo queste modalità, ma in urgenza, con i medici che si espongono a responsabilità gravi (sequestro di persona, lesioni) se per caso non sono autorizzati “retroattivamente”, ed esposti alla responsabilità opposta (omissione) se invece rispettano la legge e attendono i tempi burocratici.

Può darsi, e qui potrei concordare sull’opportunità di rivedere gli OPG, che in realtà questi “sanatori” mentali non possano curare tutto, e quindi finiscano per essere soltanto dei carceri più medicalizzati per alcuni malati incurabili. E’ anche vero che la pericolosità non risulta dettata semplicemente da una diagnosi, per cui la contenzione non è un presupposto sempre necessario. Resta da capire la fine che faranno i malati mentali autori di reati violenti, nel caso in cui non siano consapevoli e non vogliano assumere terapie. Toccherà di fatto alla psichiatria carceraria, in ambiente assolutamente inadatto, occuparsi della cosa ? A quella ospedaliera, che è vittima della corsa al “ricovero breve” per esigenze di facciata ? O ai malati che si regolano da soli, ispirati dalla visione del mondo in cui non esiste la malattia mentale?

Matteo Pacini

(Psichiatra e psicoterapeuta)

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