Roma, 26 mag — Chissà quanta fatica deve essere costato, a Massimo Galli, lo stop autoimposto di due settimane da microfoni e telecamere. Lo si sentiva fremere di impazienza solo osservando la foto del suo profilo Twitter, ma lui ha avuto lo stesso il coraggio di dichiarare «La televisione non mi è mancata proprio» dopo aver rotto il silenzio ieri sera, intervenendo a Cartabianca. Sì, perché lui, in questi mesi, i vaticini di pestilenze manzoniane li ha elargiti a mezzo tv solo per rendere un servizio alla nazione — non per suo piacere personale, maliziosi che non siete altro.

Galli ammette di aver tirato un sospiro di sollievo

Messo di fronte all’evidenza del vertiginoso calo dei contagi, Galli deve ammettere di avere tirato «un grosso sospiro di sollievo». A quel punto la Berlinguer gli chiede se non ha peccato di eccessivo allarmismo nel preconizzare una strage di italiani in seguito alle riaperture. «Un conto sono le scelte dei politici, un conto le valutazioni di chi valuta i dati scientifici con tutta l’alea che comportano, ma senza stare a rinvangare il trend è positivo quindi tiro un sospiro di sollievo. All’inizio delle riaperture ci sono stati limiti e problemi, ma la campagna vaccinale è andata avanti. Probabilmente molte persone si infettano in modo asintomatico e questo è un problema». Insomma: non un passo indietro. Lui ha fatto «lo sporco lavoro che qualcuno doveva pur fare», quindi nessun rimorso.

Perplessità sull’immunità di gregge

Poi sente il bisogno di specificare: «non è che uno è contento se le cose vanno male, io mi auguro che questo trend sia mantenuto in senso favorevole». E ci mancherebbe. Nonostante il cauto ottimismo, c’è spazio per una bordatina pessimista delle sue. «Anche l’immunità di gregge mi lascia un filo perplesso. È difficile parlarne, noi stiamo vaccinando per tenere fuori le persone dall’ospedale, dalla rianimazione e dal cimitero però non dimentichiamo che stiamo usando un vaccino costruito sul virus di un anno e mezzo fa a Wuhan».

Vespa asfalta Galli

Ci pensa poi Vespa a bacchettare Galli apostrofandolo come «il Davigo dei virologi. Lui dice che non ci sono persone sane, ma infettati che la fanno franca. Faccia un sorriso liberatorio, non siamo morti dopo le riaperture». Infetti fino a prova contraria. «Sono rilassatissimo e non faccio il Davigo, di cui ho stima — risponde stizzito Galli — ma abbia pazienza: ho sottolineato che c’è andata bene, però in alcuni settori non mi posso accontentare di vaccinare. Devo sapere se ha funzionato o no altrimenti infetto gli altri e su chi non ha anticorpi devo organizzare strategie. Facciamo i medici, non i notai».

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Classe 1977, nata nella città dei Mille e cresciuta ai piedi della Val Brembana, dell’identità orobica ha preso il meglio e il peggio. Ex musicista elettronica, ha passato metà della sua vita a fare cazzate negli ambienti malsani delle sottoculture, vera scuola di vita da cui è uscita con la consapevolezza che guarire dall’egemonia culturale della sinistra, soprattutto in ambito giovanile, è un dovere morale, e non cessa mai di ricordarlo quando scrive. Ha fatto uscire due dischi cacofonici e prima di diventare giornalista pubblicista è stata social media manager in tempi assai «pionieri» per un noto quotidiano sabaudo. Scrive di tutto quello che la fa arrabbiare, compresi i tic e le idiozie della sua stessa area politica.

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