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Hard power e soft power, i due poteri alla base dei conflitti

by La Redazione
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Roma, 16 lug – La realtà contemporanea ha portato alla luce due modi differenti di gestire e monitorare la società e i settori della trasformazione: questi due metodi possono essere traslati con i nomi di soft power e hard power. Due espressioni coniate dallo scienziato politico americano Joseph Nye e da lui riportate nel libro The Mean to success in World Politics.

Le differenze tra soft power e hard power

Un esempio di soft power esercitato dai governi, riguarda la possibilità di convincere il popolo ad obbedire oppure ad interessarsi di alcuni argomenti, pubblicizzandoli continuamente. Persino i giornali possono essere uno strumento del soft power, soprattutto nei paesi in cui la libertà di stampa viene meno, al fine di esaltare un determinato governo e i suoi poteri. Se prendessimo come esempio gli Stati liberali occidentali ma anche quelli totalitaristi orientali, scopriremmo che la pratica del “potere dolce” è piuttosto diffusa con più o meno frequenza in base alle necessità governative. Tecnicamente il soft power si nutre anche di argomenti piuttosto frivoli, ma capaci di spostare tutte le attenzioni che il popolo rivolge verso tematiche politiche più importanti.

Invece, l’hard power è basato prevalentemente sull’uso della forza per convincere i cittadini a compiere determinate azioni durante la loro vita: essenzialmente, questo giogo, viene applicato nell’economia e nel settore militare. Il “monopolio della violenza” è fondamentale nei Paesi che fanno del totalitarismo la base fondante del proprio sistema governativo, per questo motivo durante le dittature la forza d’ordine ha un potere decisamente più elevato.

Come controllare la società (e il mondo)

Ma non è detto che entrambi i “poteri” possano escludersi a vicenda. Ad esempio in uno stato come l’Afghanistan, ormai nelle mani della dittatura islamica dei talebani, l’uso della repressione giornalistica e della violenza nei confronti dei cittadini dissidenti, è una pratica comunemente diffusa.
Oppure in Egitto, dove non essendo gradite le tipologie di giornalismo libero alcune redazioni non asservite al potere, come quella di MadaMasr, vengono continuamente censurate dal governo di Al-Sisi.

Tra gli altri strumenti di controllo utilizzati dai vari regimi troviamo il “culto del leader” applicato dalla Corea del Nord e volto a divinizzare l’intera stirpe dei dittatori precedenti, presenti e futuri. Per quanto riguarda l’impero cinese, sembra che la nuova frontiera del soft power sia incentrata non solo sul controllo della stampa, ma anche sul nuovo sistema di “Credito Sociale.

Anche per quanto riguarda l’ultimo conflitto in Ucraina, le forze occidentali e quelle russe si danno battaglia non soltanto sul campo e con le armi (hard power), ma anche nell’ambito giornalistico e comunicativo, accusandosi a vicenda della diffusione di false notizie. In conclusione, è ormai acclarato che il controllo capillare della popolazione sia considerata una priorità da buona parte dei governi esistenti. Ciò che conosciamo si sta pian piano evolvendo in un altro modello di società, certamente fondata sul capitalismo ma al contempo su un concetto di “libertà” piuttosto diverso dall’originale.

Gabriele Caramelli

 

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