Ad occuparsi della sepoltura, magari nel cimitero militare di Santa Giuliana a Vigo di Fassa che si trova non molto distante da Moena, dovrebbe essere il ministero della Difesa, attraverso l’istituto interforze denominato “Onorcaduti”. Nato nel 1919, questo istituto è lo stesso che si è occupato del trasferimento della salma del Milite Ignoto all’Altare della Patria, o che ha riportato a casa i caduti sul Fronte Russo ed El Alamein. Fino al 1990 l’istituto sembrava funzionare, come dimostra il rimpatrio dei caduti sul Fronte del Don. Dal 2001 è in mano all’Arma dei Carabinieri e alla direzione si sono succeduti vari generali, fino all’attuale Rosario Iosa. Come hanno dimostrato le inadeguate celebrazioni per il centenario della Grande Guerra, l’interesse delle istituzioni italiane, Ministero della Difesa in primis, per la memoria dei nostri caduti, è ai minimi storici. Quasi al punto dell’oltraggio vero e proprio, come dimostra chiaramente questa storia del corpo dell’alpino fermo nella stazione di Moena da due anni, con le ossa di un caduto a fare la muffa tra qualche faldone, inchiodato dall’italica burocrazia.
Ma chi era questo alpino morto sulla Cima di Costabella? Dalle dimensioni del femore sembra che fosse molto alto, più di 1,85 metri, quasi un gigante per l’epoca. Il cranio sembra spaccato da un masso ed era con buona probabilità uno che andava all’assalto, trovandosi a soli 50 metri dalle linee austriache. Il fatto che si trovasse sul canalone ovest della montagna fa pensare con buona probabilità che appartenesse alla 206.a compagnia, battaglione Val Cordevole, settimo reggimento. “Gli alpini della 206.a compagnia non erano poi tanti, ed erano sicuramente bellunesi – spiega Mariolina Cattaneo, coordinatrice della rivista “L’Alpino” a Milano a Repubblica – se poi si pensa alla statura inconsueta dell’uomo e alla memoria leggendaria di quegli scontri, forse qualche parente o studioso della Grande Guerra si farà vivo per sciogliere l’enigma”.
Il recuperante Livio Defrancesco racconta così il ritrovamento dei resti dell’alpino. “Ero sotto la cima di Costabella a fare manutenzione dei sentieri ho visto delle scarpe chiodate, tipiche di quella guerra in montagna. Le ho prese in mano e ho sentito che dietro venivano i piedi, la gamba, il corpo. Le ossa erano perfette, grandi più del normale. Accanto al corpo, un arpione per far sicurezza ai compagni, una gavetta e una bomba a mano. Niente piastrina di riconoscimento. L’elmetto era spezzato. Era stato chiaramente portato via da una valanga o da una frana”. Il nuovo milite ignoto morì probabilmente durante il durissimo inverno del 1916, quando sulle Dolomiti caddero diciotto metri di neve. Colpito dal nemico o da una frana, l’alpino precipitò in quel canalone. Dove i suoi resti, forse, farebbero meglio a restare. Restituiti alla terra che con il suo sacrificio ha contribuito a difendere. E non tra le scartoffie di uno Stato che non vuole e non sa, rendergli onore.
Davide Romano