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Immigrati, il 40% non vuole restare a causa di sfruttamento e lavoro nero

by Simone Di Stefano
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immigrato_lavoroNon è un quadro idilliaco quello che vien fuori dall’indagine condotta dall’ “Associazione Bruno Trentin – Isf- Ires” sull’immigrazione.

Il lavoro, “Qualità del lavoro e impatto della crisi tra i lavoratori immigrati”, presentato questa mattina presso la sede della Cgil nazionale (dalla quale i tre istituti fusi insieme provengono), rivela innanzitutto un dato fondamentale: il 40% degli immigrati non ha intenzione di rimanere in Italia.

Dopo la fase di accoglienza e le problematiche relative all’inserimento, in molti casi le questioni legali e tutta una serie di difficoltà che il fenomeno comporta anche per il paese ospitante, i migranti pensano di costruire il loro futuro, di integrarsi e produrre altrove oppure di tornare nel proprio paese.

La ricerca, portata avanti su un campione di oltre mille persone di diversa provenienza e residenti in ogni parte del territorio italiano, «descrive ancora una volta – riferisce una nota del centro studi – un lavoro immigrato dequalificato, in cui non c’è quasi mai progressione di carriera e che rimane fortemente confinato nei settori a minor valore aggiunto». «La crisi – prosegue la nota – ha colpito l’occupazione, le retribuzioni e le condizioni di lavoro, e l’effetto é che aumentano gli orari ma diminuiscono le giornate lavorative, aumenta il lavoro nero, le forme di falso part time e il falso lavoro autonomo».

Quanto basta, ad una lettura lucida e non ideologizzata, per demolire anni di propaganda pro-immigrazione.

«I lavoratori – evidenzia l’istituto – sono più ricattabili e le condizioni di lavoro, già molto problematiche, diventano ancora più vessatorie». Dunque, riassumendo, lavoro dequalificato, carriera bloccata, sfruttamento in aumento, lavoro nero, condizioni di lavoro vessatorie, difficoltà di inserimento anche per «chi vive in Italia da molti anni (e sono la grande maggioranza degli immigrati)»: questo è il quadro relativo ad un rapporto tra lavoro ed immigrazione non certo incoraggiante.

Soprattutto riflettendo su alcuni passaggi, che dipingono una situazione in fase di peggioramento, anziché di progressivo miglioramento, e che non lasciano ben sperare in relazione ad una fase economica che, come è stato rilevato in questi giorni, ci “regala” una disoccupazione giovanile che è ha raggiunto il livello record del 40% e che lascia immaginare una competizione al ribasso a vantaggio soltanto di un capitalismo selvaggio.

«Contribuiscono a sostenere il welfare previdenziale», aggiunge l’Associazione Bruno Trentin – Isf – Ires, nonostante si faccia riferimento all’enorme bacino di manodopera in regime di evasione fiscale e di sfruttamento. E si parla di contributo al Pil, nonostante le rimesse dei migranti rappresentino fuor di dubbio una fuoriuscita di ricchezza dal nostro paese.

Senza considerare l’ormai trita questione della «compensazione demografica», cui si fa cenno come risvolto positivo dell’immigrazione, ma che disvela in realtà un popolo rinunciatario e che lascia ad altri il proprio posto, rassegnato e devitalizzato, nell’appiattimento su un modello di cittadinanza, de-storicizzata, asettica ed, in breve, sradicata e dimentica della sua dimensione comunitaria.

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