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Imprenditore racconta la ‘ndrangheta in Emilia: “Coop e istituzioni non hanno voluto vedere”

by Filippo Burla
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++ 'Ndrangheta: le mani sull'Umbria, 61 arresti ++Reggio Emilia, 10 feb – Le infiltrazioni mafiose nel settentrione, scoperchiate dall’inchiesta Aemilia, sono ormai una realtà con la quale il nord si deve confrontare quotidianamente. Ne abbiamo parlato, su richiesta di anonimato, con Mario C., imprenditore di Reggio Emilia nel settore metalmeccanico.

L’inchiesta Aemilia, che ha portato all’arresto di centinaia di persone tra imprenditori, fiancheggiatori, dirigenti istituzionali ed esponenti politici, ha svelato una massiva penetrazione mafiosa -e della ‘ndrangheta in particolare- nel territorio emiliano. Quando è cominciata?

Premetto che la mia visuale è ristretta al territorio della provincia di Reggio Emilia. Questa penetrazione non è un fenomeno recente ma comincia negli anni ’80 quando, con il confino obbligato dei mafiosi nel settentrione d’Italia, la provincia reggiana accolse numerosi soggetti inquisiti e condannati per mafia, permettendo che questi soggetti si infiltrassero nel tessuto economico e specialmente nell’edilizia.

Cosa intendi quando dici “permesso”?

Non mi riferisco ad un appoggio esplicito, quanto piuttosto ad un “non voler vedere” da parte principalmente delle istituzioni, che nella zona come noto sono espressione del centrosinistra sin dalla notte dei tempi. Il problema di questa infiltrazione si intreccia anche con il ruolo delle cooperative: finché l’economia tirava gli imprenditori collusi non si sono mai posti il problema, consentendo anche che sul nostro territorio si arrivasse perfino a regolamenti di conti in stile mafioso.

Hai parlato di cooperative. Hanno avuto un ruolo in tutto ciò?

Le cooperative hanno sfruttato la situazione a loro vantaggio. C’è da considerare che nella nostra zona non si muove foglia che cooperativa non voglia, si è così arrivati al culmine nel momento in cui chiunque doveva passare tramite esse. Imprenditori in odore di mafia compresi.

E le cooperative come hanno favorito lo sviluppo di queste realtà legate alla ‘ndrangheta?

Le cooperative agiscono in un regime di sostanziale monopolio: sono loro a decidere chi entra, chi resta e chi esce dal mercato. In particolare, come già detto, nel settore dell’edilizia. Andrebbe chiarito quindi come queste imprese legate a rappresentanti delle cosche abbiano potuto rimanere nel mercato delle costruzioni. Una possibile risposta sta nel fatto che molte di esse lavorano in subappalto a prezzi concorrenziali, in una situazione quasi di dumping, permettendo così alle cooperative di incrementare i propri margini.

Puoi fare un esempio?

E’ salito agli onori delle cronache il caso dell’asilo di Reggiolo (Re), colpito dal sisma del 2012. L’appalto per la ricostruzione fu vinto da una delle più potenti cooperative della zona, e in parte subappaltato a una ditta che nell’esecuzione dei lavori non si è fatta alcuno scrupolo nell’utilizzare perfino l’amianto. Si tratta di una realtà locale, di un imprenditore modenese che però è stato arrestato a seguito dell’operazione Aemilia per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa.

La penetrazione della mafia non avviene quindi solo a discapito delle realtà locali?

Tutt’altro, si serve anche di esse. Il problema dell’omertà non è una piaga solo del meridione ma anche del nord, dove ha trovato terreno fertile nel consociativismo politico-imprenditoriale Pci – cooperative prima e Pd – cooperative dopo.

Visti questi rapporti, perché secondo te nell’inchiesta Aemilia non è stato -se non minimamente- coinvolto l’establishment che guida la zona centrale della regione ininterrottamente da 70 anni?

La mia visione è questa: la sinistra vive una difficoltà politica -il “modello Emilia” ha molto sofferto la crisi- e ha dunque dovuto reinventarsi una nuova moralità, che è andata a mettere in discussione rapporti consolidati da tempo. Si pensi che il sindaco di Reggio Emilia dell’epoca, l’attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Del Rio, ha intitolato uno delle principali arterie cittadine “Viale Città di Cutro”. Il Pd insomma, vista la malparata, ha voluto sbarazzarsi di un amico diventato ormai troppo scomodo?

Intervista a cura di Filippo Burla

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