Roma, 26 mar –  E’ un quadro tragico quello tratteggiato dalle ultime rilevazioni Istat sulla crescita demografica del nostro Paese. Ormai non ha più senso nemmeno parlare di «crescita»: nel 2020 si è registrato il minimo storico di nascite dal 1860 e un massimo storico di decessi dal secondo Dopoguerra. 

Istat: nascite a picco, matrimoni dimezzati

Dal rapporto dell’Istat sulla dinamica demografica durante la pandemia nel 2020 emerge il collasso delle nascite. Sono quasi 16 mila in meno rispetto al 2019, il 3,8% in meno. Sono stati soltanto 404.104 i bambini iscritti all’anagrafe nel 2020. Salgono del 17,6% i decessi: quasi 112 mila in più rispetto al 2019. Nel 2020 sono state infatti cancellate dall’anagrafe per decesso 746.146 persone.

Un bilancio in negativo

Alla fine dell’anno scorso, riferisce Istat, la popolazione italiana risulta inferiore di quasi 384mila unità rispetto a gennaio 2020, come se fosse sparita una città grande quanto Firenze. Il deficit di «sostituzione naturale» tra nati e morti, (saldo naturale), è inferiore solo a quello record del 1918 (-648 mila), contestuale all’epidemia di spagnola. Al 31 dicembre 2020 in Italia risiedevano 59.257.566 persone: un calo dello 0,6%.

Muore la famiglia tradizionale, con la picchiata del numero dei matrimoni celebrati: 96.687, -47,5% sul 2019. Il calo riguarda soprattutto (-68,1%) i matrimoni religiosi, mentre quelli con rito civile diminuiscono di un terzo (29%). L’Istat rileva come il calo delle nascite sia evidente nei mesi di novembre e soprattutto di dicembre (-10,3%), quest’ultimo il primo mese in cui è possibile osservare gli effetti del primo lockdown. Il profondo senso di sfiducia e di incertezza generato nel corso della prima ondata, ha sicuramente portato molte coppie a rinviare la decisione di concepire un figlio o di sposarsi. Senza contare l’oggettiva difficoltà, se si eccettuano i mesi della fase di transizione tra la prima e seconda ondata, di organizzare una cerimonia a causa delle restrizioni.

Cristina Gauri

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Classe 1977, nata nella città dei Mille e cresciuta ai piedi della Val Brembana, dell’identità orobica ha preso il meglio e il peggio. Ex musicista elettronica, ha passato metà della sua vita a fare cazzate negli ambienti malsani delle sottoculture, vera scuola di vita da cui è uscita con la consapevolezza che guarire dall’egemonia culturale della sinistra, soprattutto in ambito giovanile, è un dovere morale, e non cessa mai di ricordarlo quando scrive. Ha fatto uscire due dischi cacofonici e prima di diventare giornalista pubblicista è stata social media manager in tempi assai «pionieri» per un noto quotidiano sabaudo. Scrive di tutto quello che la fa arrabbiare, compresi i tic e le idiozie della sua stessa area politica.

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