Milano, 26 dic — Alberto Zangrillo interviene sul delirio tamponi in atto in tutte le città italiane: ad ingrossare le file di fronte alle farmacie non vi è più, infatti, solo l’esercito di chi ha rifiutato il vaccino e deve pagare un obolo — in termini di tempo, denaro e qualità degradata della propria vita — per poter lavorare. Si mettono in coda, a centinaia di migliaia, anche coloro che devono spostarsi per le festività natalizie ed sono privi del green pass. E anche chi, nonostante la doppia o tripla dose e un fiammante super green pass da esibire ad ogni occasione, ingolfa ulteriormente la lista d’attesa per i test perché proprio non se la sente di affrontare pranzi e cenoni senza il verdetto di un test rapido. Alla faccia dell’efficacia vaccinale…

Zangrillo sconfortato: “Paese morto”

Davvero sconfortante, la visione dei propri connazionali messi in coda come nemmeno nella più sfrenata fantasia sovietica. Il tutto per farsi ficcare un cotton fiocc nelle narici: è quello che ha pensato stamattina Zangrillo, che nella sua Milano ha fotografato l’ennesimo «incolonnamento della speranza». Un serpentone di decine, forse centinaia di persone all’inseguimento disperato del fantasma di una normalità che — la realtà lo certifica — non esiste più. «Santo Stefano, ore 10 a Milano. 200 metri di coda per alimentare le casse delle farmacie, il terrorismo giornalistico e certificare la morte del Paese», twitta. Il primario del San Raffaele torna, nel giro di pochi giorni, sulla necessità di uscire dal un concetto di «emergenza» vecchio di due anni, bastonando chi ha in carico di gestire il Covid. E soprattutto chi, come i giornalisti, avrebbe il dovere morale di raccontare la verità e invece sceglie le note del terrore per prolungare ad nauseam la sensazione di trovarsi in mezzo a una pestilenza.

Bassetti è della stessa idea

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Classe 1977, nata nella città dei Mille e cresciuta ai piedi della Val Brembana, dell’identità orobica ha preso il meglio e il peggio. Ex musicista elettronica, ha passato metà della sua vita a fare cazzate negli ambienti malsani delle sottoculture, vera scuola di vita da cui è uscita con la consapevolezza che guarire dall’egemonia culturale della sinistra, soprattutto in ambito giovanile, è un dovere morale, e non cessa mai di ricordarlo quando scrive. Ha fatto uscire due dischi cacofonici e prima di diventare giornalista pubblicista è stata social media manager in tempi assai «pionieri» per un noto quotidiano sabaudo. Scrive di tutto quello che la fa arrabbiare, compresi i tic e le idiozie della sua stessa area politica.

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