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Medici e infermieri ucraini potranno lavorare in Italia. Ma “fino ad ora nessuna richiesta, stanno aiutando il loro Paese”

by Cristina Gauri
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medici infermieri

Roma, 23 mar — Medici, infermieri e altri professionisti sanitari ucraini potranno esercitare la loro professione da ieri fino al termine di scadenza fissato al 4 marzo 2023. E’ quanto prevede l’art.34 (Deroga alla disciplina del riconoscimento delle qualifiche
professionali sanitarie per medici ucraini) del decreto Misure urgenti per l’Ucraina pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 21 marzo. «E’ consentito l’esercizio temporaneo delle qualifiche professionali sanitarie e della qualifica di operatore socio-sanitario ai professionisti cittadini ucraini residenti in Ucraina prima del 24 febbraio 2022 che intendono esercitare nel territorio nazionale, in strutture sanitarie pubbliche o private, una professione sanitaria o socio sanitaria in base a qualifica conseguita all’estero regolata da direttive Ue».

Medici e infermieri ucraini hanno il permesso di lavorare nel nostro Paese

Le strutture sanitarie interessate, si legge nel decreto, «possono procedere al reclutamento temporaneo di tali professionisti, muniti del Passaporto europeo delle qualifiche per i rifugiati». Un nodo controverso, quello del Passaporto europeo. Perché stando a quanto si legge sul sito del Consiglio d’Europa, questo documento «non costituisce un atto di riconoscimento formale» della propria qualifica professionale, ma «riassume e presenta le informazioni disponibili sul livello di istruzione, sull’esperienza lavorativa e sulle competenze linguistiche del richiedente. La metodologia di valutazione è basata sulla combinazione di una valutazione della documentazione disponibile e l’uso di un colloquio strutturato». Un riconoscimento basato su un colloquio con persone che arrivano spesso prive di documenti che attestino la loro qualifica: senza voler mettere in dubbio l’onesta dei profughi ucraini, ma si tratta proprio della migliore delle garanzie in materia di medicina.

I sanitari dovranno essere tridosati

Per poter esercitare professioni sanitarie in Italia, tuttavia, non verranno effettuate deroghe allo status vaccinale contro il Covid. «E’ necessario avere la terza dose del vaccino anti Covid. Su questo non ci sono dubbi. Non si può fare diversamente, questa è la legge», e varrà anche per i medici e gli infermieri ucraini spiega Filippo Anelli, presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici (Fnomceo).

Ma i medici e infermieri ucraini vogliono lavorare da noi?

La soluzione adottata dal governo consentirà di sopperire alla mancanza di organico rimpiazzando anche i medici sospesi che non si sono vaccinati contro il Covid? Molto difficile a dirsi, per una questione di numeri. Anelli, intervistato da AdnKronos, ha infatti chiarito che ad ora «non vi sono segnalazioni di professionisti ucraini che vogliono lavorare in Italia». Semplicemente perché la stragrande maggioranza dei sanitari è rimasto nel Paese, sotto le bombe russe, ad aiutare i propri connazionali. Come, del resto, sarebbe auspicabile e doveroso.

Quanto contenuto nel decreto, infatti, rappresenta un «gesto simbolico più che sostanziale. La maggioranza dei medici ucraini è rimasta nel loro Paese ad aiutare i connazionali». Anelli non prevede «quindi grandi numeri. Proviamo a comprendere il fenomeno prima di dare giudizi». Vedremo se «a seguito del provvedimento, cambierà il panorama. Ma lo ritengo difficile: mi avrebbero già subissato di domande e pressioni. Penso che i colleghi ucraini siano in questo momento impegnati ad assistere la popolazione». Come è giusto che sia.

In Ucraina situazione sanitaria disperata

Anche perché, fa sapere  Tarik Jasarevic, portavoce dell’ Organizzazione Mondiale della Sanità trasferitosi temporaneamente da Ginevra a Leopoli, la sanità ucraina, già provata da Covid e altre malattie infettive come Aids e tubercolosi, è completamente in ginocchio. «Veniamo da due anni di pandemia, le persone hanno rimandato i loro interventi, avevamo già una popolazione vulnerabile e un sistema sanitario arrivato al limite».

Cristina Gauri

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