Roma, 26 nov – Napolitano “non poteva non sapere”? Nel pieno dello scalpore causato dalle dichiarazioni di Carmine Schiavone a proposito dei rifiuti tossici seppelliti dai clan nella ormai tristemente celebre terra dei Fuochi, il pensiero torna a chi sedeva nei posti di vertici quando quelle parole furono pronunciate dal pentito, nel 1997. E a chi, quindi, scelse di apporre il segreto di stato. L’attuale presidente della Repubblica, di cui spesso leggiamo sperticati elogi sulla grande stampa, era ministro dell’Interno. Un posto chiave per conoscere e divulgare particolari così importanti per la salute del popolo italiano. Ma tra video delle Iene e servizi dell’Espresso, nessuno chiede alla massima carica dello Stato il perché delle sue azioni. A capo della Commissione che ascoltò Schiavone, troviamo invece Massimo Scalia, nientemeno che il fondatore di Legambiente. Ma anche nei suoi confronti regna il silenzio. Senza menzionare gli altri protagonisti politici che occupavano i posti chiave, tutti rigorosamente di sinistra.
Come spesso accade in Italia diversi organi d’informazione e ampi settori della magistratura sembrano chiudere un occhio di fronte agli errori una determinata parte politica. Ad ulteriore riprova il fatto che il comune di Fondi, dal cui mercato è partito e parte lo smistamento dei “cibi tossici” della terra dei Fuochi, appare legato alla ‘ndrangheta dal lontano 1985, secondo la ricostruzione di Antonio Turri, ex poliziotto e presidente dell’associazione Cittadini contro le mafie e la corruzione. Quel fatidico anno la poltrona di sindaco era occupata da un esponente del PCI, nel contesto di un egemonia politica della sinistra durata molti anni, ma delle cui responsabilità nessuno ha chiesto conto.
Le mafie, ad oggi le multinazionali più ricche e fiorenti del paese, possono essere colpite solamente da un impegno privo di paraocchi ideologici, di qualunque parte siano. E da azioni dure, come avvenne durante il ventennio fascista. Ma il governo attuale continua a produrre l’esatto contrario, e l’elezione di Rosy Bindi quale presidente della commissione parlamentare Antimafia sembra essere solo l’ultimo (e più patetico) esempio.
Francesco Carlesi