Viene quindi estesa a livello globale una concezione tipicamente americana, quella che pone alla base del vivere associato il pursuit of happiness, la ricerca della felicità. Si tratta di un principio sancito nella Dichiarazione d’Indipendenza americana – per volere di Benjamin Franklin – come verità “auto-evidente” (self-evident): “Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la vita, la libertà, e il perseguimento della felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità”. La felicità è quindi un diritto inalienabile e l’intera organizzazione politica si basa sul fatto di garantirla. Si tratta di una visione estremamente impoverita della politica e della vita stessa. Non a caso le costituzioni europee, anche quelle più marcate in senso liberale, non hanno mai trattato della “felicità”, essendo il concetto troppo individuale e inconsistente per farne il perno della vita associata degli uomini.
Del resto la felicità è insindacabile: chi può mettere bocca su ciò che mi rende felice? Dire che il fine dello Stato è garantire la mia “ricerca della felicità” significa basarsi su un estremo relativismo individualistico, sulla disintegrazione di qualsiasi idea di destino collettivo. Qualsiasi sforzo, qualsiasi lotta, qualsiasi guerra, qualsiasi sofferenza che non sia immediatamente volta ad acquisire più felicità viene bandita. Nella mentalità ancestrale europea, al posto di questa idea edonistica di felicità c’era il concetto della “gioia”, che contempla sempre una conquista, una sofferenza. Scalo la montagna e quando sono in vetta gioisco. Se ci fossi arrivato con un elicottero non sarebbe stata la stessa cosa, perché sono proprio quello sforzo e quella fatica che creano la gioia. “Non vi è bellezza se non nella lotta”, diceva Marinetti. La bellezza, non la felicità. La bellezza contempla sacrificio, disciplina, rigore. Tutte cose che hanno poco a che fare con la felicità, ma che non di meno costituiscono la trama di tutto ciò che è grande, giusto e degno.
Adriano Scianca
2 comments
Articolo stupendo. Concetti ancestrali quali lotta, fatica e sacrificio per il raggiungimento degli obbiettivi preposti espressi in modo semplice, ma non banale. Stringato, ma non ristretto. Complimenti sig. Scianca.
Se pensiamo che per quel rifiuto organico della Boldrini la felicità consiste nel ridicolizzare e cancellare il suo popolo, direi che il concetto di felicità è troppo relativo.