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I processi si accorciano costringendo i pm a lavorare

by La Redazione
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l43-tribunale-milano-120605184416_bigRoma, 25 mar – Nel piccolo reame del Renzistan, la nuova ondata taliban giustizialista si accanisce contro l’istituto della prescrizione, che – orrore! – garantisce la certezza del diritto stabilendo tempi precisi entro i quali l’iniziativa penale deve essere esperita e portata a sentenza definitiva, pena l’improcedibilità. La giustificazione dei tardo dipietristi è l’eccessiva durata dei processi, che di fatto rende in molti casi difficile arrivare ad una sentenza definitiva prima del maturarsi della prescrizione per i reati, molti e alcuni piuttosto allarmanti, puniti con pene entro i cinque anni.

Questa soluzione è stata individuata nel segno più tradizionale della classica logica dei forcaioli nostrani: i processi sono troppo lunghi perché gli avvocati infingardi esperiscono tattiche dilatorie e ostruzionistiche, non perché le procure tendono a rinviare a giudizio anni, se non lustri, dopo la chiusura delle indagini, allungando a dismisura i tempi dei processi.

Al fine di combattere la noiosa e superflua attività difensiva, gli aspiranti torquemada hanno pensato ben di includere anche una interruzione automatica della prescrizione di due anni tra il primo grado e l’appello e di un anno tra la sentenza d’appello e la cassazione.

L’effetto pratico di questa riforma, se applicata come proposta, sarà di permettere alle nostre procura di aspettare serenamente anche cinque anni prima di rinviare a giudizio la stragrande maggioranza dei reati perseguiti e al cittadino sfortunatamente imputato di poter attendere fino a oltre 10 anni prima di vedersi in qualsiasi modo giudicato, addirittura il ventennio, se si tratta di corruzione.

Anche se poi verrà giudicato innocente, sarebbe il caso di ricordare agli allegri pogromisti di rinviati a giudizio.

Ora, una semplice soluzione per far durare meno la maggior parte dei processi che ingolfano i nostri tribunali ci sarebbe, rapida, efficace, semplice, innocua per le libertà e i diritti del cittadino: costringere le procure ad un termine temporale nel quale esercitare l’azione penale, dopo la fine delle indagini. Indago per massimo 6 mesi, prorogabili nei casi più complessi, chiudo le indagini, sono costretto a citare o chiedere il rinvio a giudizio entro un termine di altri 6 mesi, in modo che il cittadino ha la certezza di finire davanti ad un giudice mediamente entro un anno, e non in un lasso di tempo opinabile che arrivi fino ai 6.

La soluzione alle lungaggini processuali è a portata di mano, ma coincide con un tabù: costringere le Procure a lavorare.

Mario Rossi

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