Torino, 21 feb – Dieci anni per la sentenza di primo di primo grado, altri dieci per l’appello. E alla fine arriva la prescrizione. Normale prassi nell’ingolfata giustizia italiana, che però a questo giro tocca pesantemente la dignità umana: perché il processo era relativo ad un orribile caso di stupro su una bambina, per il quale però nessuno pagherà mai.
I fatti risalgono al 1997, quando la madre della piccola, oggi 27enne, scoprì i terribili abusi perpetrati dal proprio convivente sulla figlia. Il processo di primo grado, tenutosi ad Alessandria, si concluse solo nel 2007 con la condanna dell’imputato a 12 anni di carcere. Il ricorso in Corte d’Apello, depositato a Torino, rimane sugli scaffali del tribunale del capoluogo a prendere polvere per altri dieci anni, fino ad oggi. Non basta che il presidente dell’assise decida finalmente di tentare di smaltire l’arretrato: quando il processo arriva fuori tempo massimo in udienza, dove il giudice non può che prendere atto dell’intervenuta prescrizione.
“Questa è un’ingiustizia per tutti, in cui la vittima è stata violentata due volte, la prima dal suo orco, la seconda dal sistema”, ammette mestamene Arturo Soprano, reggente della Corte d’Apello, che aggiunge: “Si deve avere il coraggio di elogiarsi, ma anche quello di ammettere gli errori”. Ma qui c’è poco, davvero poco, da elogiarsi.
Nicola Mattei