Roma, 9 mag – Come scrive Tommaso Indelli nell’introdurre la sua Controstoria della resistenza (Altaforte Edizioni), “una conoscenza consapevole del passato mira a riportare i fatti stessi alla giusta dimensione storica”. Come ben sappiamo però, in particolar modo quando si parla della prima metà del novecento, al conseguente obbligo – ossia l’analisi completa dei fatti – si preferisce vieppiù l’utilizzo della facile strumentalizzazione politica. Nasce così l’esigenza in chi scrive di fare quanta più chiarezza possibile su un tragico evento avvenuto a Cesena nei primi giorni del maggio 1945. In Romagna infatti fa ancora discutere l’omicidio – avvenuto a guerra finita, è importante sottolinearlo – di Iolanda Gridelli.
Le ultime ore
Della giovane, una semplice cittadina con le proprie convinzioni, ne parla Gianfranco Stella in Compagno Mitra. Con l’arrivo dei canadesi sulle rive del Savio nell’ottobre 1944 la ragazza fu costretta a riparare al Nord. Al termine delle ostilità Iolanda, che nel frattempo era rimasta incinta, decide così di tornare a casa. L’otto maggio 1945 viene però prelevata dalle bande comuniste.
Fatta forzatamente passare per le vie del centro è condotta verso la rocca, sede delle carceri. L’infausto corteo si svolse in presenza di diversi testimoni oculari chiusi in un silenzio spettrale. Solamente una donna, apostrofando la Gridelli come “fascista”, chiese ai suoi sequestratori di ucciderla. Come prevedibile, non ci fu nessuna incarcerazione né tantomeno uno straccio di processo. Nel segreto di un portone chiuso in una zona adiacente alla fortificazione malatestiana, un colpo di pistola uccise Iolanda. Aveva poco più di vent’anni. L’esecutore materiale non ha mai avuto né un volto né un nome: qualcuno ipotizza che sia stata una partigiana a premere effettivamente il grilletto. Le uniche certezze rimangono quella giovane vita ingiustamente strappata al futuro e la coltre omertosa protratta negli anni sull’identità del reale assassino.
Le imprecisioni del Secolo d’Italia e il dilemma del nome
Per correttezza dobbiamo citare anche un articolo del Secolo d’Italia. Lo storico giornale della destra italiana nell’aprile 2017 racconta del tragico fatto di sangue – dandogli ribalta nazionale – riportando però diverse imprecisioni: nel cognome di Iolanda, nella ricostruzione dei fatti e nell’utilizzo di un documento fotografico totalmente fuori luogo. Inesattezze che hanno scoperto il fianco alle prevedibili speculazioni provenienti da sinistra.
Il fatto poi che il gappista Dino Amadori (Da piccolo balilla a giovane partigiano, editore Il Ponte Vecchio) scriva di Aurada – amica d’infanzia a cui probabilmente deve la vita: come riportato nel libro la Gridelli non lo consegnò ai tedeschi a conflitto ancora in corso – non deve confonderci. In queste terre ad inizio ‘900 era infatti usanza diffusa farsi chiamare con nome diverso da quello di battesimo.
Una sinistra coincidenza
Non abbiamo quindi prove di sevizie e maltrattamenti sul corpo della giovane. Ma tra le testimonianze raccolte in Compagno Mitra notiamo una coincidenza alquanto particolare. La mattina seguente infatti sulla sinistra del portone della rocca giaceva un corpo femminile “accartocciato” con “capelli strappati, la nuca tinta di vernice rossa…lo stomaco e il ventre aperti…un braccio staccato”. Non esistendo notizie ufficiali – ma nemmeno passaparola popolari – su altre donne giustiziate in questi determinati frangenti sorgono sinistri interrogativi. Era Iolanda? Fu quindi torturata, ma solo in quei locali irraggiungibili all’occhio pubblico? Qualcuno si avventò in un secondo momento sulla carne esanime?
Cimitero a cielo aperto
Comunque sia altre brutalità avvennero a Cesena in quelle tragiche ore. Come riporta lo stesso Stella, sempre il nove maggio – ancora sul colle Garampo – troviamo disteso a terra un militare che “teneva le mani sullo stomaco dove, da un’orrenda ferita, fuoriuscivano gli intestini”. A pochi passi un secondo soldato “crivellato” a morte. Senza contare i diciassette cadaveri di altrettanti fascisti – tutti con evidenti segni di percosse – sommariamente uccisi nella notte da uomini con il fazzoletto rosso che “ridevano e fumavano” in quel raccapricciante mattatoio a cielo aperto.
Iolanda Gridelli riposa oggi nel cimitero urbano, a poche centinaia di metri da quella salita dove percorse gli ultimi passi. Uccisa senza pietà dall’odio politico, ha pagato con la vita la scelta di rimanere coerente con se stessa e di non aver mai rinunciato ad esporsi localmente, anche in periodi difficili. Sulla lapide, con i capelli raccolti, rimane solo il suo sorriso spezzato.
Marco Battistini