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Ada Negri, la poetessa che amava il Duce

by La Redazione
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Roma, 19 apr – Ada Negri, una donna che ha dato all’Italia una luce nuova nella poesia e nella prosa. Era nata nel 1870 e visse fino al gennaio del 1945. Il destino le risparmiò di vedere il corpo di Mussolini appeso a Piazzale Loreto e probabilmente gli avrebbe dedicato una poesia o un racconto, mossa da quell’evento così tragico che nessuno si sarebbe aspettato, come lo scempio che fecero i partigiani sul cadavere di Mussolini e di Claretta Petacci. Una dimostrazione di forza, quella forza che amano i vincitori, e che annunciava l’inizio del periodo delle vendette in Italia.

Ada Negri vinse un premio letterario dedicato a Mussolini nel 1931, premio che la faceva emergere nella poesia italiana. Non ebbe una vita facile, la povertà bussò alla sua porta e la morte del padre sopraggiunse all’età di un anno. La nonna, che lavorava in una portineria, la accolse con la madre che con sacrifici immani riuscì a farla studiare fino a diventare maestra. Da giovane aveva conosciuto Mussolini quando militava con il partito socialista, grazie all’amicizia che aveva con un alto esponente. Al Duce aveva scritto negli ultimi tempi una lettera chiedendogli come stesse e cosa succedesse quando si trovava a Salò.

Nella vita di Ada Negri vi fu un dramma che la sconvolse: la morte del figlio, caduto in Libia nel 1911. Gli aveva dedicato una poesia molto bella e piena di coraggio (La Madre dalla raccolta Esilio – 1914); si sentiva una donna che pativa per il bene della Patria e per lo stesso bene aveva donato la vita di un figlio. Conobbe la disperazione più nera ma seppe andare avanti perché coraggiosa.

I libri di letteratura e le antologie raccolgono alcune sue poesie davvero molto belle. A centocinquanta anni dalla sua nascita ancora nessun eventi l’ha ricordata come meritava. Una donna coraggiosa, una donna che aveva combattuto fino alla fine per quello che credeva. Durante il ventennio fascista era stata proclamata Accademica d’Italia, unica donna a ottenere questo prestigioso titolo. Nella rivista Rassegna di cultura del gennaio 1941 gli dedicarono un grande elogio. Così scrisse Pia Addoli : “L’assunzione di Ada Negri al più alto consesso della cultura e del genio italiani, l’Accademia, è stata salutata con approvazione sincera da quanti conoscono ed apprezzano l’Arte della nostra grande Poetessa, e con particolare commozione da quanti conoscono la modestia infinita, la semplicità profonda, la calda e tiepida umanità della donna. Perché Ada Negri è, prima che poetessa geniale, che scrittrice finissima, una donna. Una meravigliosa donna, che ha saputo soffrire e godere della sua femminilità; senza rinnegarla per inutili rimpianti ma portandola ben alta, a quelle vette cui può solo  giungere il cuore di una donna”.

Uno scrittore oggi dimenticato, Luigi Maria Personè, che per tanti anni scrisse nei giornali privilegiando la terza pagina, di lei ricordò la sua poesia: “Io son la quercia che non crolla al vento”, nonostante  fosse stata messa alla prova dalle tante asprezze che la vita le fece patire. E’ stata come l’albero che sferzato dal vento diventa più forte e non cade mai.

Quando si parla di uno scrittore lo si fa con amore. Solitamente quelli che raccolgono i suoi pensieri e li vogliono far giungere agli altri, lo fanno per non dimenticarlo. Quanto sarebbe bello se la collocassero come un tempo nelle antologie. Una donna forte, che non ha mai dimenticato i valori di patria, di maternità e di famiglia. Il libro uscito dopo la sua morte, “Oltre” pubblicato dalla Mondadori, commuove per lo stretto rapporto della poetessa che ha con il buon Dio. “Prima di incominciare la mia giornata, prima di porvi termine, mi raccolgo in Lui, per qualche minuto … E non mai più di qualche minuto; ma in quel brevissimo tempo riesco a sprofondare fino in fondo a me stessa, a confessarmi come solo si può nella preghiera: guai per me, se così non fosse”.

Oltre ad essere stata la prima donna italiana che ebbe il prestigioso riconoscimento di diventare Accademica D’Italia, Ada Negri era stata segnalata anche per il conferimento del Premio Nobel per la letteratura, che poi, invece, venne assegnato a Grazia Deledda nel 1926. Sempre nella stessa Rassegna di Cultura scrissero: “Il genio di Benito Mussolini, ha sentito la grande verità che è nella poesia di Ada Negri, che, figlia del popolo, come lui, sa, come lui, essere vicina a questo nostro meraviglioso popolo, e capirne le necessità spirituali, ed illuminarle in una luce di fede e di fraternità umana. Penso alle infinite figure create dall’arte della Negri, che rimangono impresse per sempre nel nostro cuore: le vecchiette sfinite dalle fatiche e dagli anni, i bimbi che hanno negli occhi il tormento della fame, i malati che vivono tra la disperazione e la speranza. Non è possibile, dimenticare il soldato che entra silenzioso nella casa dove i suoi parenti lo piangono sconsolati, e il prodigio meraviglioso della corona di gloria, che, nella messa di mezzanotte, scende sulla fronte insanguinata dell’eroe”.

Ada Negri – Esilio (1914)

La madre

Sciara-Sciat.
23 ottobre 1911.

Non piango, no. — So ben che tu non vuoi,
figlio. Il cuore impietrò sotto le bende
nere, il tacito cuor che non t’attende
più. Non si piange sui caduti eroi.

Un nome s’incavò nella memoria:
Sciara-Sciat. — Là piombasti, in una pozza
di sangue; e ti fu poi la testa mozza,
figlio!… —  Non piango, no. — Questa è la gloria.

Tante madri a quest’ora hanno il mio cuore
di pietra, e la mia faccia d’agonia!….
…. Tacciono. Così volle, — e così sia, —
la Patria, amor che vince ogni altro amore.

O figlio, io ti creai colla mia carne
giovine, io ti nutrii colle mie rosse
vene, e la forza che per te mi mosse
unica or regge le mie membra scarne.

Arde in te la sostanza di mia vita,
e tu con fibra e fibra ancor t’aggrappi
a me, come nell’ora in cui gli strappi
del tuo corpo al mio corpo eran ferita.

Porto, grondanti sotto la gramaglia,
le piaghe tue: pur io la testa mozza
rotolare mi sento nella sozza
terra, ed il sangue fino a Dio si scaglia.

Muoio due morti, in me agonizzo e in te.
Ma lacrime non ho. Tu non le vuoi.
Passa la guerra, e i giovinetti eroi
nella raffica invola, ed il perché

non dice a noi, pallide madri. Passa
e prende.A rullo di tamburo, a squillo
di tromba, all’ombra ardente del vessillo,
a ritmo d’inni e di mitraglia, ammassa

e lancia a torme i figli nostri, i figli
nostri, ove un sol fulgore han vita e morte:
fide vegliammo noi per questa sorte
le culle d’oro e gli umili giacigli.

Fàsciati di silenzio, o bocca pia,
crocifiggiti in petto, o cuor demente:
non invocare Iddio, chè Iddio non sente:
così volle la Patria. — E così sia. —

Che altro io potrei darti, o Patria grande?…
vuota è la casa, spento il focolare:
la cenere io raccolsi sull’alare
e con essa formai le mie ghirlande.

Irrigidii per te la fronte stanca
nella bellezza dell’orgoglio sacro.
Madre d’eroe non piange. — A volte il macro
volto, per aria che al respir le manca,

tende, ed il labbro; e il sangue a goccia a goccia
sgorga dalla ferita che s’incava
nelle profonde viscere, e ne scava
la vita, come fa stilla da roccia;

ma singhiozzar con disperata voce
sul figlio morto, non sarà chi l’oda:
sta, di fronte alla gloria, che l’inchioda
al suo materno amor come a una croce.

Emilio Del Bel Belluz

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1 commento

giovanna di giorgio 20 Aprile 2020 - 10:01

Grazie all’autore dell’articolo per aver ricordato una grande scrittrice italiana, dimenticata dalla “cultura” ufficiale e sconosciuta a molte generazioni di Italiani.

G. D.G.

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